Patologia Benigna degli Annessi

Cisti ovarica

Le cisti ovariche sono patologie importanti per la loro frequenza e  prevalenza perché costituiscono il 10-20% di tutta la patologia ginecologica; oggi ovviamente la prevalenza è aumentata rispetto al passato soprattutto per la maggiore capacità diagnostica, basata sull’utilizzo dell’ecografia transvaginale che anni fa nemmeno esisteva ed invece ora ci permette di vedere all’interno della pelvi femminile con un’accuratezza diagnostica molto elevata.

cisti-ovariche

Esame Golgd Standard o ecografia transvaginale

L’esame gold standard è l’ecografia transvaginale, cioè  quella endocavitaria con sonda specifica, che attraverso i fornici vaginali ci permette di vedere la pelvi e gli organi pelvici molto più vicini rispetto a quello che possiamo fare con una sonda transaddominale. Ovviamente ha come limite di poter essere eseguita solo in donne non più virgo e quindi l’ecografia addominale va riservata a tutte le pazienti che non hanno mai avuto rapporti o non abbiano mai fatto un esame pelvico interno; nel caso dell’ecografia addominale è sempre necessario avere la vescica piena per avere una buona visualizzazione che è sempre e comunque difficile nelle pazienti che abbiano un BMI elevato, perché il grasso omentale non ci permette di vedere l’utero e soprattutto le ovaie. Ovviamente l’ecografia addominale viene utilizzata in ostetricia soprattutto nel secondo e terzo trimestre quando l’utero è di dimensioni elevate, per il feto in accrescimento, oppure in pazienti ginecologiche con formazioni uterine o annessiali di dimensioni tali (maggiori della linea ombelicale trasversa) da non poter essere viste con la sonda endocavitaria.

Tipologia di Cisti ovarica

Le cisti ovariche devono essere suddivise in funzionali se regrediscono spontaneamente nel corso di 3 cicli mestruali e sono legate ad un’alterazione transitoria del ciclo mestruale e organiche se sono legate ad un’alterazione anatomica dell’ovaio e quindi non vanno via da sole, persistono all’osservazione dopo  3 cicli mestruali e non regrediscono con terapia estroprogestinica ma richiedono terapia medico chirurgia.

Cisti ovariche Funzionali

Regrediscono spontaneamente nel corso di 3 cicli mestruali e sono legate ad un’alterazione transitoria del ciclo mestruale; non si fa terapia ma si può velocizzare il loro riassorbimento con terapia estroprogestinica.

Cisti ovariche follicolari

Sono le più frequenti; voi sapete che il ciclo ovarico fa sì che ogni mese un follicolo venga reclutato e quindi si accresca fino al momento dell’ovulazione, quando questo follicolo estrude l’ovocita, che era al suo interno, attraverso tutto un processo eziopatologico va incontro a regressione e si trasforma in corpo luteo.

Quando l’ovulazione non è seguita dalla formazione del corpo luteo o quando non si verifica l’ovulazione, il follicolo rimane lì come cisti follicolare o follicolo persistente e quindi la cisti non è altro che un follicolo ovarico con tutte le sue caratteristiche ecografiche.

Caratteristiche della cisti ovarica follicolare

  • Sovradistensione del follicolo di Graaf conseguente ad accumulo di liquido (anaecogeno perché all’interno vi è solo liquido)
  • Formazione tondeggiante, uniloculare, senza setti, senza vascolarizzazione e senza vegetazione interna, con parete sottile ed unica
  • Dimensioni 10-30mm

Sintomatologia della cisti ovarica follicolare

  • Asintomatiche quindi il loro riscontro è solitamente casuale
  • Raramente dolore (compressione, torsione, rottura)
  • Irregolarità ciclo ovarico e/o mestruale dovuto al fatto che comunque sono delle alterazioni funzionali dell’ovaio e quindi il follicolo ha una sua capacità di produzione ormonale.

La cosa importante è che queste pazienti non devono mai essere indirizzate verso il trattamento chirurgico perché la cisti tende a regredire spontaneamente entro 3 cicli mestruali, si può eventualmente velocizzare il processo, per esempio in pazienti che cercano una gravidanza, somministrando estroprogestinici dal momento del riscontro della cisti o dal primo giorno del ciclo mestruale successivo per 21 giorni, spesso questo è sufficiente per la regressione e al ciclo successivo già non si vede più la formazione.

Cisti luteiniche

Sono praticamente la stessa cosa ma ovviamente queste sono legate alla persistenza non più del follicolo ma del corpo luteo, quindi semplicemente avvengono in due momenti diversi del ciclo mestruale.  Possono avere dimensioni un po’ più grandi e di solito hanno un aspetto ecografico un po’ diverso:

  • Si presentano come una raccolta di liquido citrino, siero–ematico o ematico nel corpo luteo dopo l’ ovulazione quindi sono meno anaecogene e tendono di più all’ipoecogeno, a volte questo sangue si può depositare sotto forma di coaguli di fibrina che viene vista come una zona di iperecogenicità.
  • Senza setti.
  • Unica, uniloculare.
  • Solitamente diametro  < 4-5 mm.
  • Regressione spontanea.
  • Possibile (rara) rottura con emoperitoneo.
  • Irregolarità mestruali (produzione di progesterone tipica del corpo luteo).

Corpo luteo emorragico

Variante della cisti luteinica che per definizione può rappresentare un problema in acuto per la paziente.

Il corpo luteo ha una sua vascolarizzazione ed una serie di meccanismi di emostasi intrinseci ed estrinseci che fanno in modo che cicatrizzi spontaneamente nell’arco di alcune ore; la normale cicatrizzazione, successiva all’emorragia, può non avvenire in maniera efficace a causa di alterazioni della cascata coagulativa, le pareti di questa cicatrice (ferita che deriva dall’espulsione dell’ovocita) non si creano correttamente e in breve tempo questo corpo luteo si riempie di sangue;quando questo riempimento di sangue non si riesce a limitare ovviamente si può verificare una situazione di emoperitoneo con addome acuto della paziente.

Bisognerebbe tener conto che anche in questo caso la patologia si risolve spontaneamente, però immaginate una paziente, magari giovane, che accede al pronto soccorso con delle algie pelviche molto importanti (definite anche “a coltellata” con estensione al retto) per l’accumulo di tutto questo sangue coagulato nel douglas, e si fa un’ecografia dove si vede una cisti ovarica con dimensioni anche di 4-5cm con aspetto ecografico non molto rassicurante e con tutto questo versamento in addome, allora si opta per la chirurgia che dovrebbe invece essere presa in considerazione solo davanti a quadri emodinamici instabili, quindi bisogna sempre capire se la situazione si sta autolimitando o no attraverso i parametri clinici (pressione arteriosa, polso, emocromo e coagulazione da ripetersi anche a distanza di qualche ora).Nel caso in cui la situazione sia stabile si fa una breve osservazione della paziente in ospedale che poi verrà dimessa tanto il corpo luteo si riassorbirà ed anche il sangue peritoneale, se invece la situazione è instabile si fa un intervento per via laparoscopica volto alla risoluzione della cisti stessa coagulando il corpo luteo ed eventualmente esportandone le pareti, cercando di risparmiare quanto più  possibile il resto del parenchima ovarico.

Luteoma gravidico

 

Cisti del paraovai

Non è altro che una raccolta di liquido, spesso ovulatorio, in un piccolo recesso del setto del mesosalpinge, quindi in quella porzione anatomica di peritoneo che riveste la tuba accanto all’ovaio  o addirittura si può trovare in una delle fimbrie tubariche. Ecograficamente è difficile riuscire a vedere con tanta accuratezza se questa formazione liquida sia a partenza ovarica o del paraovaio, però ci possono essere d’aiuto la loro persistenza o dei movimenti ecografici che tendono a mobilizzare l’ovaio e ci permettono di vedere la cisti che si trova fuori dal contesto ovarico (medialmente o lateralmente all’ovaio stesso).

Sono cisti assolutamente tranquille perché non degenerano mai da un punto di vista oncologico, come tutte le cisti funzionali del resto, si possono manifestare a qualsiasi età e talvolta vanno via con 3 cicli di progestinico proprio perché si formano per il liquido follicolare che ad ogni ovulazione viene eliminato dal follicolo e mettendo a riposo l’ovaio per tre mesi, questo serbatoio si svuota;se questa terapia non funziona il management terapeutico della paziente dipende da diversi fattori, valutando se è una cisti che tende a crescere e che può torcersi su stessa allora ci potrebbe essere l’indicazione all’intervento chirurgico, viceversa se rimane stabile non c’è indicazione chirurgica.

Diagnosi per cisti del paraovai

La diagnosi è quasi sempre ecografica perché solitamente non sono sintomatiche, quando lo sono si manifestano con alterazioni del ciclo mestruale in termini di quantità e frequenza e  a volte possono essere causa di corpo luteo emorragico. Il dolore improvviso e acuto in presenza di una cisti deve far pensare ad una torsione sul suo peduncolo che è una vera emergenza perché se non si interviene subito la paziente rischia di perdere tutto l’ovaio e ovviamente avendo un corpo necrotico nella pelvi si rischia una peritonite settica.

Alla visita ginecologica  bimanuale fatta utilizzando una mano con due dita esploratrici a livello del fornice vaginale posteriore e l’altra mano viene usata per palpare l’addome al fine di immobilizzare l’utero e vedere se si sentono delle neoformazioni, se sono cisti di piccole dimensioni ovviamente noi non le diagnostichiamo con la visita.

L’ecografia transvaginale ci permette di vederle sempre molto bene e di valutare le caratteristiche morfo-strutturali della cisti ed in particolare il contenuto cistico, la presenza di vegetazioni o papille, di setti e infine lo spessore e la regolarità della parete.

Criteri ecografici di benignità per cisti del paraovai:
  • Assenza di setti maggiori di 3 mm.
  • Assenza di vegetazioni o parti solide all’interno della formazione.
  • Presenza di bordi regolari

Al semplice utilizzo della sonda transvaginale si può associare il color doppler, con sensibilità 90% e specificità 87%, che ci permetterà di andare a vedere se le pareti della cisti o le vegetazioni presentano una loro vascolarizzazione intrinseca (tutto quello che è vascolarizzato deve destare una maggiore preoccupazione) e di valutare gli indici di pulsatilità e resistenza.

Per una maggiore rassicurazione dal punto di vista oncologico si può chiedere alla paziente un dosaggio di marcatori specifici come il CA125 e l’HE4 che se fatti insieme sono altamente specifici e sensibili per escludere il rischio di patologica oncologica ovarica; soprattutto l’HE4, perché mentre il CA125 si positivizza anche in presenza di altre condizioni (endometriosi, patologie non ginecologiche, fumatrici, ciclo mestruale), se l’HE4 è negativo (<100)  è una rassicurazione certa di benignità della massa ovarica.

Una cosa interessante, che si sta ormai definendo in maniera assoluta negli ultimi 15 anni, è l’utilizzo di integrazioni multimodali che permettono di fare diagnosi accurate.

Questo è lo score IOTA che è ormai molto utilizzato in ginecologica e che combina una serie di parametri ecografici con dei punteggi in modo che anche negli ospedali dove non c’è un ecografista esperto in grado di fare diagnosi accurata si può avere una certa accuratezza diagnostica.

Caratteristiche ecografiche da indagare per cisti del paraovai

Le caratteristiche ecografiche che devono essere indagate sono:

  • Papille e/o parti solide: le prime sono proiezioni solide interne ad una cisti con un’altezza >3mm e la loro presenza è un fattore di rischio, le seconde sono un’ecostruttura che suggerisce la presenza di un tessuto.
  • Contenuto cistico: come vedete il liquido semplice è anaecogeno, il corpuscolato è ipoecogeno, l’aspetto a vetro smerigliato è tipico dell’endometriosi, poi vi sono il contenuto emorragico e quello misto (in parte anaecogeno, ipo ed iperecogeno per la presenza di vegetazione) caratterizzati dalla presenza di tralci, di fibrina, sangue coagulato e sangue liquido, sono caratteristici del corpo luteo emorragico e possono molto spaventare se non si fa una buona anamnesi alla paziente.
  • Regolarità dei contorni esterni
  • Regolarità della parete interna
  • Setti: striscia di tessuto che origina da una parete della massa e si dirige verso la parte opposta. Bisogna valutare il numero, lo spessore e se sono completi o incompleti.
  • Classificazione morfologica: in base alla presenza di setti possono essere classificate in:Cisti uniloculare se non ha setti ed è formata da una sola camera
    • Cisti multiloculare se ha più camere per la presenza di setti
    • Cisti uniloculare solida se è singola ma ha dentro delle proiezioni solide
    • Cisti multiloculare solida se è multiloculare con parti solid
    • Tumefazione solida se è tutta solida
  • Vascolarizzazione inizialmente non era stata inclusa e tuttora non è inserita nelle simple rules (algoritmo con meno parametri per zone con ecografi magari vecchi), è un po’ meno oggettivo perché è distinta in assente, minima, discreta e molto intensa.
  • Reperti ecografici aggiuntivi:
    • Cono d’ombra posteriore se la cisti è a contenuto solido
    • Ascite che si localizza a livello del cavo retto uterino
  • In studi multicentrici randomizzati lo score IOTA ha un’area sotto la curva (AUC) veramente significativa quindi è molto utilizzato ed utilizzabile.

Terapia per cisti del paraovai

Salvo caso particolari queste cisti non hanno  necessità di un intervento chirurgico ed al massimo si può fare terapia con estroprogestinico tenendo sempre conto che comunque in 3 mesi regredisce da sola.

Bisogna valutare:

  • Anamnesi: paziente giovane (dopo la menopausa ovviamente le cisti funzionali non esistono e le neoformazioni sono più frequentemente di natura oncologica), sintomatologia e fattori di rischio
  • Osservazionedopo 3 mestruazioni o eventuale trattamento estroprogestinico per 3 cicli
  • Asportazione chirurgica(LPS gold standard) se non regredisce spontaneamente.

Cisti ovariche organiche

Teratoma cistico maturo o cisti dermoide

È una neoformazione organica relativamente frequente, bilaterale nel 15% dei casi, che si diagnostica di solito in età fertile o in epoca preadolescenziale. Si forma a causa di una proliferazione anomala di tessuto che deriva da tutti e tre i foglietti embrionali, quindi all’interno di queste cisti è presente di tutto: sebo, denti, capelli, tessuto epiteliale ecc… Sono cisti a contenuto disomogeneo, che hanno un grado di malignità molto raro che dipende dalla percentuale di componente indifferenziata al loro interno, nella maggioranza dei casi sono cisti benigne.

Questo è un dermoide aperto, nucleato in cui all’interno c’è di tutto. Se questa cisti si dovesse rompere durante l’intervento chirurgico il contenuto, essendo misto, può determinare una condizione di peritonite sterile, pertanto quando viene fatto un intervento per l’escissione di una cisti dermoide è fondamentale che venga asportata intera e poi eliminata tramite un dispositivo chiamato endobag, a differenza di tutte le altre cisti benigne in cui la rottura non crea danni.

Come si presenta all’ecografia una cisti dermoide

All’ecografia si presentano come delle formazioni rotondeggianti che hanno una parete regolare e contenuto misto. Può essere utile affiancare all’ecografia uno studio con risonanza magnetica, mentre poco ci aiutano i marcatori in quanto CA125 è quasi sempre negativo, a volte in base alla componente mucinosa al loro interno può esserci un lieve aumento del CA19.9 o del CA15.3. A differenza dell’endometriosi, il dermoide essendo una cisti con parete regolare se raggiunge delle notevoli dimensioni (5-6 cm) si può torcere quando si esegue un movimento, si fa dell’attività fisica o a riposo determinando la torsione dell’ovaio su stesso e causando la perdita del parenchima. Una volta fatta diagnosi di cisti dermoide, si effettua un management d’attesa per cisti di dimensioni inferiori a 5 cm con valutazione una volta all’anno, se crescono di 2-3 mm all’anno allora va effettuato il trattamento chirurgico.

Endometriosi

L’endometriosi è una condizione patologica infiammatoria cronica estrogeno-dipendente, caratterizzata da tessuto endometriale in sede anomala associata a dolore pelvico e infertilità.

È una patologia infiammatoria perché coinvolge molti mediatori dell’infiammazione, cronica perché è una patologia cronica e recidivante per definizione; è una patologia benigna che può determinare un’alterazione della qualità di vita delle pazienti tale da comportarsi come una patologia oncologica di tipo cronico.

Noi oggi non abbiamo una cura per la malattia, ma abbiamo una cura per i sintomi della malattia, essendo estrogeno dipendente,  è una patologia tipica dell’età riproduttiva e tutta la terapia è basata su questa estrogeno dipendenza. È caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale in sede ectopica e questo fa si che tutte le volte che una donna ha il suo ciclo mestruale l’endometrio ectopico, in qualunque sede esso si trovi, si sfalderà e sanguinerà determinando un accumulo di sangue.

La forma più caratteristica è la cisti endometriosica (o endometrioma ovarico o cisti cioccolato, chiamata così perché costituita da sangue mestruale digerito che contenendo emosiderina ha proprio l’aspetto del cioccolato).   

Eziopatogenesi dell’ Endometriosi

L’eziopatogenesi oggi è ancora molto discussa perché ci sono varie teorie ognuna delle quali è in grado di spiegare soltanto alcuni dei fenomeni e delle sedi caratterizzanti l’endometriosi:

  • La teoria del reflusso mestruale (o teoria di Sampson) è la più accreditata e spiega perché tutte le pazienti con malformazioni mulleriane tali da determinare un accumulo di sangue in utero hanno anche una prevalenza maggiore di endometriosi. Nelle alterazioni congenite dell’estrusione endometriale infatti il sangue mestruale non può essere espulso (ematometra) dal collo dell’utero, dunque si raccoglie e refluisce al contrario verso la pelvi attraverso le tube. Questo è anche il motivo per cui la cisti endometriosica è più frequente nel cavo rettouterino oppure nella pelvi di sinistra, poiché siamo fatti in modo tale che il flusso mestruale sia più frequente a sinistra per tutta una serie di aderenze che l’intestino contrae anatomicamente all’interno della pelvi. Quindi secondo questa teoria il sangue mestruale che fluisce all’interno della cavità pelvica,  determina degli impianti anatomici sulla pelvi, sull’ovaio o sui legamenti generando la presenza di questa endometriosi. Da sola questa teoria non è però sufficiente a spiegare la patogenesi dell’endometriosi sia perché tutte le donne hanno fisiologicamente il reflusso mestruale sia perché non spiega l’endometriosi polmonare, encefalica o ossea.
  • La teoria della diffusione linfogena ed ematogena, precursori o cellule endometriali possono raggiungere sedi distanti attraverso il torrente ematico o linfatico. Si è visto che in riceventi di tessuto midollare donato da pazienti con endometriosi, si verifica la malattia endometriosica, anche in pazienti di sesso maschile.
  • La teoria della metaplasia, invece, si pensa che ci siano dei progenitori all’interno delle cellule mesenchimali staminali in grado di determinare l’endometriosi. Si parla di metaplasia del mesotelio, quando un mesotelio normale sotto stimolo estrogenico da vita a queste cellule endometriali ectopiche (questa teoria spiega la presenza di endometriosi negli uomini che per cambiare sesso fanno trattamento con estrogeni). L’alterazione dei residui mulleriani giustifica la presenza di endometriosi nel contesto miometriale.

Quello che è chiaro è che gli estrogeni attraverso il ruolo proinfiammatorio e proangiogenico sono l’elemento chiave della fisiopatologia di questa malattia. Ci sono stati degli studi che hanno dimostrato che vi sono delle alterazioni sia dell’immunità umorale che cellulo mediata nelle pazienti che sviluppano endometriosi. C’è un’alterazione del numero dei macrofagi, delle cellule T e dei natural killer per cui quello che è il normale sistema di “spazzino” del nostro peritoneo in queste pazienti non funziona bene e quindi le cellule endometriali riescono ad attecchire e ad approfondirsi nel contesto del peritoneo e a dare vita a questi impianti di endometriosi superficiale. Gli estrogeni sono la chiave di volta di tutto il processo fisiopatologico che non riguarda solo la cellula endometriosica stessa ma anche la cellula epiteliale e la cellula stromale attraverso l’interazione con il sistema immunitario. Ci sono infatti una serie di pattern che sono stati studiati e pubblicati da qualche anno per cui c’è un’alterazione di tantissime chemochine, citochine, fattori di crescita, fattori neoangiogenetici, proangiogenetici, algogeni che determinano uno stato di infiammazione cronica che è legata alla presenza della stimolazione estrogenica. La cosa importante da capire è che le pazienti affette da endometriosi hanno un dolore cronico, infatti l’endometriosi è una delle cause più frequenti di dolore pelvico cronico. Questo dolore che si cronicizza attiva dei sistemi neuronali per cui l’endometriosi autoalimenta se stessa , cioè il dolore endometriosico si autoalimenta poichè si vengono a creare dei nuovi sistemi neuronali per cui le fibre algogene proliferano e si moltiplicano nel tempo. Questo è il motivo per cui il dolore da endometriosi andrebbe riconosciuto e  trattato quanto più precocemente possibile perché se cronicizza difficilmente potrà poi essere trattato.

Fattori di rischio per l’ Endometriosi

I fattori di rischio sono:

  • Età, è una patologia dell’età riproduttiva
  • Ipermenorrea,  cioè patologie associate alla presenza di un flusso mestruale più frequente o più abbondante
  • Genetici, si pensa che vi sia un’ereditarietà di tipo poligenico
  • Alterazioni meccaniche al deflusso mestruale (ostruzioni)

Fattori protettivi per l’ Endometriosi

I fattori protettivi sono i seguenti:

  • Parità
  • Uso corrente o recente di contraccettivi orali

Cioè sono rappresentati da tutto quello che mette a riposo le ovaie e l’utero, perché se abbiamo detto che il problema è il reflusso e il ciclo mestruale, tutti i periodi in cui la paziente non mestrua (o perché sotto estroprogestinici o perchè gravida) sarà protetta.

Localizzazione dell’ Endometriosi

L’endometriosi può essere localizzata:

  • Ovaio, infatti il 50% delle pazienti hanno una cisti a livello ovarico (endometrioma)
  • Douglas (per caduta, gravità)
  • Plica vescico-uterina
  • Legamento largo
  • Tube
  • Legamenti utero-sacrali
  • Peritoneo
  • Intestino
  • Altre sedi meno frequenti (osso, polmone, cervello).

In base alla localizzazione della malattia, l’endometriosi può essere definita e classificata in quattro forme:

    1. Endometrioma ovarico o cisti cioccolato;
    2. Endometriosi superficiale caratterizzata dalla presenza di spot nel contesto della parete pelvica, quindi sul peritoneo. Queste lesioni hanno un aspetto laparoscopico variabile a seconda del loro grado di maturità, per esempio quando sono delle lesioni di vecchissima data si presentano come lesioni bianche perché costituite da sangue vecchio e digerito;
    3. Adenomiosi, che è l’endometriosi del miometrio uterino, quindi localizzata nel contesto del muscolo uterino;
    4. Endometriosi infiltrante o profonda che si caratterizza per la presenza di questo tessuto endometriale che va a infiltrare il cavo del Douglas oppure l’intestino o la vescica. Rappresentano le forme più gravi perché possono determinare una sintomatologia che va oltre alla triade classica che caratterizza l’endometriosi e che può addirittura determinare nei casi più gravi dei quadri di occlusione intestinale, perché se l’endometrioma erode la parete intestinale va a determinare tutta una serie di aderenze fino alla occlusione intestinale.

Endometriosi: Clinica

La triade sintomatologica tipica dell’endometriosi è caratterizzata da:

  • Dismenorrea, dunque dolore tipicamente mestruale
  • Dolore pelvico cronico, quindi non soltanto durante il periodo mestruale
  • Dispaneuria (dolore durante i rapporti sessuali) e infertilità.

A questi sintomi possono associarsi:

  • Irregolarità mestruale
  • Disturbi vescicali (disuria, ematuria)
  • Dispepsia, che quando presente è diagnostica di endometriosi del setto retto uterino
  • Rettorraggia ciclica, nelle pazienti che hanno noduli nel setto retto uterino che infiltrano fino ad emergere a livello rettale.

La diagnosi di endometriosi ancora oggi non è facile, l’unica diagnosi certa è quella istologica fatta su prelievo effettuato durante laparoscopia. Visto che abbiamo detto che l’endometriosi è una malattia cronica e recidivante noi oggi cerchiamo di ridurre quanto più possibile il numero di interventi chirurgici e di certo non effettueremo l’intervento chirurgico solo a scopo diagnostico, perché anche se la laparoscopia è un intervento mininvasivo ha comunque un rischio non sottovalutabile, soprattutto se non siamo poi in grado di eradicare la malattia. Infatti l’endometriosi recidiva dopo 3 anni dall’intervento chirurgico nel 50% dei casi.

Quindi tutte le volte che operiamo una paziente abbiamo fatto un intervento che, nel caso dell’endometrioma, avrà tolto l’endometrioma insieme a parenchima ovarico sano e abbiamo esposto questa paziente al rischio di un nuovo intervento del 50% nei successivi 3 anni. Questo è il motivo per cui la chirurgia è riservata solo a casi selezionati.

L’endometriosi è correlata ad infertilità per alterazione della normale fisiologia della riproduzione, poiché queste pazienti hanno delle pelvi che in alcuni casi si definiscono come pelvi congelate per la presenza di queste aderenze. Anche il quadro di infiammazione cronica rappresenta un ambiente ostile che non permette la fecondazione e la crescita di un embrione. Infine secondo un’ipotesi recente l’infertilità sembrerebbe legata all’alterazione della qualità ovocitaria, in particolare all’alterazione del fluido follicolare legata a tutte le componenti infiammatorie presenti. Si pensa addirittura che la presenza dell’endometrioma di per sé possa essere una causa di stress ossidativo tale da ridurre la qualità degli ovociti che sono presenti nel parenchima ovarico anche sano attorno all’endometrioma stesso.

Adenomiosi

L’adenomiosi è la forma di endometriosi che soltanto negli ultimi anni è più studiata e meglio diagnosticata, mentre prima era un’entità sconosciuta ed è caratterizzata dall’infiltrazione di questo tessuto endometriale nel contesto miometriale. Le pazienti con adenomiosi ecograficamente presenteranno una formazione singola che potrebbe somigliare ad un fibroma uterino, a differenza del quale non presenta dei margini regolari poiché trattandosi di tessuto endometriale non presenta una capsula fibrosa come il fibroma. Sono pazienti caratterizzate dalla presenza di dismenorrea e di sanguinamenti anomali perché la presenza di questo tessuto endometriale all’interno del miometrio spesso è causa di sanguinamento che si trova in un momento anomalo del ciclo oppure per la presenza di metrorragia, quindi un sanguinamento eccessivo durante la mestruazione stessa. Ovviamente anche l’alterazione della normale anatomia dell’utero può essere causa di infertilità.

Diagnosi dell’adenomiosi

Si effettua attraverso l’anamnesi, chiedendo alla paziente la presenza di dolore, se si acutizza durante i rapporti o durante il ciclo, e si fa un esame obiettivo che può evidenziare un utero poco mobile o una cisti endometriosica non mobile poichè piena di aderenze che risulta attaccata all’utero, al setto retto-uterino, ecc…

Si basa innanzitutto sull’ecografia, che ha un’altissima accuratezza quando si tratta di cisti endometriosiche, mentre è assolutamente incapace di fare diagnosi di endometriosi superficiale. Si tratta in questo caso di piccoli spot sul peritoneo, praticamente impossibili da vedere ecograficamente. Gli operatori più esperti riescono a vedere il nodulo del setto vaginale, l’ipomobilità dei legamenti uterosacrali, la presenza di noduli tra il setto dell’utero e il setto vescicale, però l’operatore medio in genere non riesce a fare una diagnosi così accurata. Nei centri di riferimento la diagnosi ecografica riesce a fare anche diagnosi di endometriosi profonda, ma in generale la diagnosi che si può effettuare più facilmente è quella di endometrioma ovarico.

In questo caso ci si può aiutare con il dosaggio del CA125, sebbene ci siano diverse voci contrastanti. In realtà non si dovrebbe usare come screening  però, essendo un marker di irritazione peritoneale, risulta elevato nelle pazienti con endometrioma e con endometriosi superficiale. Ha inoltre un andamento particolare, in quanto si riduce in maniera sostanziale dopo la somministrazione di un qualsiasi farmaco che determina un azzeramento della funzione ovarica, come l’estroprogestinico o, meglio di tutti, l’analogo del GnRH (con questo farmaco viene meno la funzione centrale, per cui la paziente va in uno stato di menopausa farmacologica). Gli analoghi sono farmaci che si utilizzano nel trattamento e nella diagnosi di endometriosi, ma non possono essere usati per lunghi periodi di tempo perché espongono la paziente a un rischio di  osteoporosi grave, per cui le linee guida dicono che non possiamo effettuare somministrazioni per più di 3- 6 mesi.

Se ecograficamente non si riconosce la cisti, ma la paziente presenta tutte le caratteristiche cliniche e anamnestiche, un criterio di diagnosi della patologia può essere quello della risposta all’analogo. Per esempio, se la paziente ha un dolore che non riesce a definire come cronico o catameniale, si somministra l’analogo e si chiede alla paziente di tornare a controllo dopo 3 mesi; se dopo questo tempo, in cui si è ottenuta la menopausa farmacologica, la paziente riferisce la scomparsa del dolore, allora si potrà dire che effettivamente la paziente  presenta un’endometriosi superficiale. Se invece il dolore non scompare, si deve inviare la paziente da un altro specialista perché il dolore può dipendere da un problema urinario, colico o altro.

L’utilizzo combinato della risposta all’analogo e del dosaggio del CA125 permette di aumentare la specificità di questa diagnosi. Il CA125 aumenta anche durante la fase mestruale nelle donne sane, però l’aumento che si riscontra nell’endometriosi è molto più importante. Tuttavia, in seguito alla somministrazione dell’analogo, il CA125 sarà completamente azzerato.

Terapia dell’adenomiosi

La gestione terapeutica si è modificata radicalmente negli ultimi anni: se prima si operavano tutte le donne con endometriosi, oggi l’obiettivo principale del ginecologo è quello di evitare quanto più possibile la chirurgia. Il secondo obiettivo della terapia è quello di trovare una terapia farmacologica che non solo  permetta di ritardare la chirurgia, ma anche che di evitare le recidive della patologia stessa.

La terapia deve essere effettuata in base al problema principale della paziente: dolore pelvico severo non responsivo alla terapia medica, desiderio riproduttivo, rischio di cancro. Nel caso di una paziente con dolore pelvico, che non risponde alla terapia e che ha desiderio riproduttivo, la prima cosa da fare è inquadrare la coppia; fino al 50% dei casi di infertilità di coppia è dovuto a problemi del maschio, per cui si deve effettuare l’esame del liquido seminale del marito, ovviamente insieme alla valutazione della riserva ovarica della donna. Se entrambi gli esami risultano nella norma e la paziente è giovane, allora l’intervento chirurgico in laparoscopia potrà essere eseguito. Si è visto che in queste coppie, nell’immediato post intervento si ha una capacità riproduttiva che aumenta  del 50%. Quindi si ottiene, nei 6 mesi dopo l’intervento, un picco di fertilità che consente l’ottenimento spontaneo della gravidanza. Per questo motivo si tende a operare nel momento in cui la coppia comincia a desiderare la gravidanza.

Se la paziente ha una riserva ovarica non ottimale, ha un’età avanzata o il seminale è patologico, la coppia non potrà ottenere la gravidanza spontaneamente, ma dovrà rivolgersi a un trattamento di fecondazione assistita. In questo caso l’intervento si evita in quanto andrebbe a privare ulteriormente la paziente della sua riserva ovarica.

Paziente con rischio di evoluzione maligna: esiste una forma di endometriosi che può dare una trasformazione in cancro ovarico, però gli istotipi tipici di questa degenerazione (endometrioidi e a cellule chiare) sono i più rari tra quelli del cancro ovarico, rappresentandone circa il 6 e 14% rispettivamente. Il rischio è estremamente basso, per cui le linee guida non giustificano il trattamento chirurgico solo per la paura della degenerazione maligna. In ogni caso, nella paziente che non viene operata, è saggio effettuare comunque un controllo annuale con il dosaggio di un marcatore come l’HE4, estremamente specifico. Se l’HE4 rimane negativo sicuramente l’endometriosi non sarà andata incontro a degenerazione maligna.

Terapia medica dell’adenomiosi

Essendo una patologia estrogeno-dipendente, la terapia principale si avvale di farmaci atti a “spegnere” l’attività ovarica.

  • I FANS sono i farmaci di prima linea nella gestione del dolore pelvico, soprattutto fino a quando non si effettua la diagnosi.
  • Dopo i FANS, i farmaci più utilizzati in cronico sono senza dubbio i contraccettivi orali combinati dalla presenza di estrogeni e progestinici i quali, non solo vanno ad impedire il momento di reflusso mestruale, ma soprattutto determinano una riduzione significativa dei livelli di estrogeni circolanti, che quindi non andranno più ad alimentare i circoli viziosi della fisiopatologia dell’endometriosi.  Questi farmaci possono essere somministrati in forma ciclica (somministrazione classica: pillola per 21 gg, 7 gg di pausa seguiti da altri 21 gg di somministrazione). La terapia ciclica è preceduta da uno schema di attacco in continuo, poiché nei 7 gg di pausa vi è comunque un flusso mestruale che può determinare irritazione. Quindi nei primi 3 mesi la pillola viene somministrata in maniera continua; successivamente si cominciano a fare delle pause in maniera graduale. I contraccettivi orali riescono anche a contenere le dimensioni dell’endometriosi: ne bloccano la crescita e talvolta riescono a farlo ridurre in dimensioni. Inoltre, oltre a ridurre lo stato infiammatorio e a migliorare la sintomatologia, rappresentano anche la prima linea nella prevenzione delle recidive. Le linee guida dicono che la paziente operata, che non cerca gravidanza immediata, deve assumere la pillola dopo l’operazione per i primi mesi per evitare le recidive della malattia. La terapia con contraccettivi orali ha comunque dei limiti, rappresentati dalle controindicazioni e dal fatto che, appena si interrompe la terapia, la malattia può ripresentarsi.
  • In alternativa all’estroprogestinico può essere utilizzato anche il singolo progestinico il quale, andando a controbilanciare l’effetto dell’estrogeno, determina l’atrofia della mucosa endometriale e quindi lo stato di benessere delle pazienti.
    • Il progestinico può essere somministrato o in forma base oppure, nelle pazienti che non hanno desiderio riproduttivo immediato, mediante l’utilizzo di una Mirena, ovvero un dispositivo intrauterino, che è una spirale medicata con levonorgestrel che rilascia dosi graduali di progestinico per 5 anni. Questa terapia è molto ben tollerata dalle pazienti e ha anche il vantaggio di non indurre tutti gli effetti tipici dell’estroprogestinico per os, come il tromboembolismo venoso. 
    • Altro progestinico di recente introduzione è il dienogest, progestinico di sintesi che oggi è uno di quelli più utilizzati da solo o in combinazione per due motivi: innanzitutto perché, oltre ad avere un effetto progestinico, ha anche un effetto antiangiogenetico diretto, antinfiammatorio e antiproliferativo; inoltre perché ha anche la capacità di mantenere dei livelli medi di estrogeni in circolo, i quali evitano alla paziente tutti i sintomi tipici della deprivazione estrogenica.
  • Il danazolo è un altro trattamento efficace dell’endometriosi che oggi è stato tuttavia abbandonato a causa degli effetti collaterali che non sono sopportabili dalla paziente che deve sottoporsi a terapia cronica.
  • Gli analoghi del GnRH sono i farmaci che hanno la capacità di spegnere l’attività endometriosica in maniera più rapida ed efficace, ma hanno il limite di poter essere utilizzati soltanto per brevi periodi di tempo.

 

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