Idrocefalo: Terapia
L’idrocefalo è una patologia caratterizzata da aumento del liquido cefalorachidiano nella cavità cranica. Nei casi conclamati si procede con certi tipi di intervento chirurgico. Nei casi dubbi, come l’idrocefalo normoteso si esegue la misurazione della pressione intracranica.
Si possono eseguire gli shunt del ventricolo. Viene messo un catetere nel ventricolo a monte dell’ostacolo. Nell’idrocefalo ostruttivo, per esempio, per chiusura del terzo ventricolo si avrà una dilatazione del primo e secondo ventricolo. Quindi si mette un catetere in uno di questi due ventricoli. Il catetere viene poi portato sottocute, viene agganciato ad una valvola dalla quale parte un altro catetere che termina o nel peritoneo o nell’atrio destro. Si parla perciò di shunt ventricolo-peritoneale e ventricolo-atriale. Si decide di portare il catetere in atrio destro perché comunque il liquor viene riassorbito a livello del seno sagittale superiore, per passare poi nella giugulare, nella vena cava superiore e quindi in atrio destro. L’alternativa dello shunt ventricolo-peritoneale si spiega perché il peritoneo è una membrana semi permeabile che può riassorbire il liquor. Questi due tipi di shunt vengono anche chiamati derivazioni ventricolari extracraniche. È necessaria la valvola perché se si mettesse solo una serie di tubicini il ventricolo si svuoterebbe completamente oppure il liquor tornerebbe indietro. Le valvole prima erano a pressione determinata. Esistevano valvole che aprivano a 60 mmHg, altre a 120 mmHg, altre ancora a 360 mmHg. La pressione di apertura di una valvola deve essere superiore alla normale pressione intracranica. Oggi invece ci sono delle valvole che si autoregolano o che si regolano dall’esterno con un magnete. Attraverso questo magnete c’è la possibilità di aprire e chiudere la valvola. Quindi ci si può regolare anche senza fare la misurazione della pressione intracranica. Il rischio di svuotare troppo il ventricolo è la sindrome d’ipotensione endocranica che dà quasi gli stessi sintomi della sindrome da ipertensione endocranica. Se il parenchima si affloscia, cala, si stirano le vene a ponte, cioè tutte le vene di scarico della superficie cerebrale nel seno sagittale superiore. Queste vene nell’adulto, nell’anziano sono particolarmente fragili, per cui basta un colpo di tosse o uno starnuto per romperle. La conseguenza è un ematoma subdurale. La valvola è fatta da un sistema che ne regola la pressione e da un reservoir dal quale si può prelevare il liquor.
Un idrocefalo per stenosi dell’acquedotto determinerà il dilatarsi del terzo ventricolo e dei ventricoli laterali. Il muso del terzo ventricolo si poggia sull’aditus ad sellam dove si trova la cisterna ottico-chiasmatica. Si è pensato così di creare una fenestrazione, un foro tra il muso del terzo ventricolo e la cisterna ottico-chiasmatica, invece di inserire una valvola. Questi interventi vengono detti ventricolo-cisternostomie. Si può eseguire la ventricolo-cisternostomia sopraottica o posteriore. Si parla in questo caso di derivazioni ventricolari intracraniche. Ovviamente le derivazioni interne sono molto più complicate da eseguire rispetto alle esterne, in quanto bisogna andare in endoscopia nel ventricolo, individuare il muso del terzo ventricolo, bucare e osservare che il liquor circoli. Bisogna stare molto attenti perché intorno ci sono strutture molto importanti come l’ipotalamo. Se per sbaglio si bucasse l’ipotalamo, il paziente non si sveglierebbe.