Cancerogenesi Virale

Il 15% delle neoplasie umane è associato ad infezione con virus oncogeni.

L’incidenza di tali neoplasie potrebbe essere marcatamente ridotta attraverso vaccinazioni su larga scala, realizzando così un intervento di prevenzione primaria. Ad esempio la vaccinazione contro l’HBV ha ridotto sensibilmente l’incidenza degli epatocarcinomi.

Lo studio dei virus oncogeni ha chiarito molti dei meccanismi alla base della trasformazione cellulare neoplastica.

Il 15% delle neoplasie umane è associato ad infezione con virus oncogeni.

L’incidenza di tali neoplasie potrebbe essere marcatamente ridotta attraverso vaccinazioni su larga scala, realizzando così un intervento di prevenzione primaria. Ad esempio la vaccinazione contro l’HBV ha ridotto sensibilmente l’incidenza degli epatocarcinomi.

Lo studio dei virus oncogeni ha chiarito molti dei meccanismi alla base della trasformazione cellulare neoplastica.

L’infezione di alcuni tipi di virus oncogeni, come l’EBV, è molto diffusa nella popolazione. Tuttavia solo in un caso su 1000 i portatori sviluppano un tumore dovuto al virus. Anche in questi rari casi inoltre il periodo di latenza tra infezione e sviluppo del tumore è molto lungo: si parla di parecchi anni.

La cancerogenesi virale può essere:

· Diretta: il virus infetta una cellula progenitrice della popolazione clonale del tumore. Prendendo in esame le cellule è possibile evidenziare le sequenze nucleotidiche virali;

· Indiretta: il virus non infetta necessariamente una cellula progenitrice del tumore e non è quindi dimostrabile nelle cellule neoplastiche. Tuttavia esso esplica un effetto indiretto sulla replicazione cellulare e sulla iperplasia dei tessuti oppure sulla funzione immunitaria determinando così una predisposizione allo sviluppo del tumore. L’esempio più classico di quest’ultimo tipo è rappresentato dai tumori che insorgono nei soggetti sieropositivi per HIV. La conseguente immunodepressione predispone classicamente allo sviluppo di linfomi, sarcoma di Kaposi e cancro della cervice uterina. Questi sono tutti tumori che necessitano di una super-infezione di un altro tipo di virus. Se ne deduce quindi che la sorveglianza immunologica ha una sua importanza solo nei tumori associati ad infezione virale (o che, almeno, solo in questi casi è efficiente)

Ci sono dei fattori generali che possono rendere una persona colpita da un’infezione virale predisposta a sviluppare cancro:

1. Compromissione della reattività immunitaria;

2. Condizioni fisiologiche o patologiche di accelerata replicazione cellulare;

3. Alterazioni geniche che predispongono al tumore (ad es. alterazione nei meccanismi di riparazione del DNA. Le persone con xeroderma pigmentoso sono predisposti a sviluppare papillomi cutanei o addirittura carcinomi spino-cellulari dovuti ad infezioni virali).

I più importanti agenti infettivi correlati a tumore nell’uomo sono:

HBV, HCV: carcinoma epatico;

HPV: carcinomi delle mucose genito-urinarie e prime vie digestive;

EBV: linfomi e carcinoma nasofaringeo;

HV8 (herpes tipo 8): sarcoma di Kaposi, particolari linfomi e malattie delle plasmacellule;

HIV: linfomi, sarcoma di Kaposi e carcinoma della cervice.

Non solamente i virus ma anche altri agenti infettivi possono essere responsabili, con meccanismi necessariamente indiretti, dello sviluppo di tumore: un esempio è l’Helicobacter Pilori, associato al carcinoma gastrico, o la Clamidia.

In seguito a infezione di un virus a DNA esso può compiere un ciclo litico che porta eventualmente all’accelerazione del ciclo cellulare (es. verruca) ma comunque, alla fine, alla lisi della cellula. Alternativamente, se il virus infetta una cellula non permissiva, sono espressi solo i geni precoci ed il genoma virale rimane nella cellula o sotto forma di episoma oppure integrato nel DNA (ciclo latente).

HPV

Questo virus ha un tropismo spiccatamente epiteliotropo (infetta sia gli epiteli mucosi che quelli di rivestimento).

L’infezione più frequente è quella a livello del distretto genitale.

Esistono molti sottotipi di HPV ma due di essi determinano un’infezione che è associato ad alto rischio di sviluppo di un tumore maligno: sono i sottotipi 16, 18, 31 e 45. Altri sottotipi sono invece associati a forme benigne che scompaiono spontaneamente.

I coliociti (cellule grandi con molto citoplasma) sono indicativi di infezione da HPV.

Due dei geni precoci di HPV sono particolarmente importanti nella sua azione cancerogena: E6 ed E7.

E7 lega RB. L’eliminazione di questo freno fa sì che le cellule iperproliferino. E6 invece lega p53. Quest’ultima proteina non solo controlla il ciclo cellulare ma ha anche facoltà di determinare l’apoptosi della cellula legando la proteina BAX.

Nei sottotipi ad alto rischio E6 ed E7 hanno molta affinità per RB e P53. Gli altri tipi hanno bassa affinità e perciò le cellule non perdono completamente la funzione di RB e p53.

(ndr: la proliferazione della cellula è funzionale al normale ciclo litico del virus: esso infetta le cellule negli strati basali, ne determina la proliferazione e la lisi avviene negli strati superiori. Tuttavia può succedere che qualche cellula non permetta l’espressione dei geni tardivi: in questo caso se la cellula è affetta da un sottotipo ad alto rischio ha più probabilità di andare incontro a trasformazione neoplastica).

EBV

L’Epstain-Barr è un virus a dsDna lineare che appartiene alla famiglia dei virus erpetici. Lo spettro d’ospite è molto ampio così pure la prevalenza (> 90% negli adulti). Il tipo cellulare prediletto dal virus per la latenza è il linfocita B.

L’infezione primaria avviene a livello della mucosa e dello strato linfoepiteliale. Il virus poi infetta le cellule B perché espongono un tipico recettore: il CD21.

Nelle cellule B il genoma del virus EBV può esprimere i geni tardivi e determinare il tipico ciclo litico.

Le cellule del linfocita TCTL combattono l’infezione ma anche dopo che la mononucleosi è guarita un certo numero di cellule B continua ad essere infettata dal virus in fase latente: si calcola che esse siano circa 1 su milione.

In tutte le situazioni in cui c’è un’espansione policlonale B la carica virale aumenta e l’infezione può riattivarsi.

Su sangue periferico di una persona infettata coltivato in vitro si vede lo sviluppo di linee di cellule linfoblastoidi: si tratta di linfociti B immortalizzati, ma che se trasfusi in un animale normale non si dimostrano essere neoplastiche.

Tuttavia, se queste stesse cellule sono trasfuse in un animale fortemente immunodepresso, allora esse possono provocare l’insorgenza di tumore. Lo stesso può succedere anche in un uomo.

I geni precoci più importanti dell’EBV sono gli EBNA (Epstain Barr nuclear antigen) e i geni LMP che sono espressi sulla membrana del linfocita infettato.

EBNA1: serve per il mantenimento dell’episoma;

EBNA2: ha funzione trans-attivante su geni cellulari;

LMP1: ha azione immortalizzante. E’ molto simile al recettore per il TNF e provoca una iperproduzione della proteina anti-apoptotica BC2-L

Un gene litico è invece analogo all’IL10 e determina una proliferazione policlonale dei linfociti B.

I linfociti B che contengono EBV in fase latente possono trovarsi in tre situazioni:

· Latenza di tipo I: è tipico del linfoma di Burkitt. E’ caratterizzata dall’espressione esclusiva di EBNA 1. Il sistema immunitario non riconosce le cellule trasformate. Nel linfoma di Burkitt riconosciamo una forma endemica (il 100% dei linfomi di Burkitt è conseguente ad infezione di EBV) ed una forma sporadica (solo alcune di queste persone sono infette da EBV);

· Latenza di tipo II: esprime EBNA I, LMP 1 e LMP2. E’ associata con linfomi di Hodgkin e con il carcinoma indifferenziato del nasofaringe. Sono tumori molto frequenti tra le popolazioni asiatiche;

· Latenza di tipo III: il linfocita B esprime sia LMP1 che LMP2 e tutti e 6 gli EBNA. Sono associati con le linee linfoblastoidi, coi linfomi immunoblastici che si possono avere in persone immunodepresse e con forme proliferative policlonali di linfociti B che si verificano dopo un trapianto. In quest’ultimo caso è sufficiente ridurre l’immunodepressione per arrestare le forme proliferative.

RETROVIRUS

I retrovirus, a seconda della complessità del loro genoma, possono essere distinti in semplici o complessi. I semplici possono essere a loro volta distinti in cronici o acuti a seconda della velocità con cui provocano tumori. Il prototipo del virus acuto è il virus del sarcoma di Raus. I retrovirus acuti sono comunque artefatti di laboratorio, e non sono presenti in natura.

I retrovirus complessi, dal punto di vista oncologico, sono detti “trans-attivanti”.

I virus acuti provocano tumore in pochi giorni ed esso è policlonale (sarebbe impossibile avere una massa sufficiente di cellule in pochi giorni se esse derivassero dall’espansione di un’unica cellula).

Nei virus acuti vi è una perdita di geni virali e acquisizione di proto-oncogeni cellulari costitutivamente attivi. Il tipo di c-onc integrato determinerà il tipo di tumore che il virus sarà in grado di provocare.

I virus acuti sono difettivi: hanno bisogno di un virus helper per la loro replicazione.

I virus cronici provocano tumore perché, integrandosi random, possono capitare vicino ad un oncogene ed attivarlo con le loro sequenze LTR.

I virus transattivanti invece esprimono una proteina transattivante virale che attiva a distanza l’espressione di protooncogeni cellulari, di geni per fattori di crescita o di loro recettori.

HLTV-1

L’HLTV-1, un deltaretrovirus, è il primo retrovirus umano ad essere stato documentato. Esso è un retrovirus complesso che oltre a gag, pol ed env codifica per proteine regolatrici e proteine accessorie.

Esso è endemico in Giappone ma è presente anche nei Carabi e nel Sud America. In Europa si è registrato solo qualche caso sporadico.

Questo è un virus transattivante che causa leucemia caratterizzata da linfociti con nucleo a forma di fiore (flower cells).

Frequentemente questi soggetti presentano anche ipercalcemia con nefropatie causate da depositi calcifici nei nefroni.

TAX è una proteina virale che interagisce con fattori trascrizionali i quali, a loro volta, possono attivare sequenze promotrici di numerosi geni cellulari come recettori per fattori di crescita, c-onc, citochine.

Sembra inoltre che il virus provochi una down-regulation della DNA pol. Β, un enzima coinvolto nella riparazione del DNA: ciò contribuisce all’instabilità del genoma.

A breve termine l’HTLV-1 è in grado di immortalizzare le cellule ed indurne una proliferazione (ad esempio perché producono molta IL1). In vitro cellule T infettate dall’HTLV-1 producono linee linfoblastoidi simili alle B infettate dall’EBV. La proliferazione è policlonale.

Successivamente, nel giro di numerosi anni (anche decenni), il virus può portare ad alterazioni cromosomiche o eventi mutageni a carico di una cellula che così passa da iperproliferativa a tumorale: si sviluppa perciò una leucemia con crescita questa volta monoclonale.

 

 

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