Chemotassi
I recettori per le chemochine sono dei classici recettori a 7 domini transmembrana associati a proteine G trimeriche. Le proteine G possiedono delle subunità αi e αq. Le αi, normalmente funzionanti come inibitrici della adenilato ciclasi, svolgono in questo caso attività identica a quella delle αq (attivazione della fosfolipasi C) con conseguente produzione di DAG e IP3. Quest’ultimo composto determina l’aumento della concentrazione di calcio intracellulare.
I recettori per le chemochine sono dei classici recettori a 7 domini transmembrana associati a proteine G trimeriche. Le proteine G possiedono delle subunità αi e αq. Le αi, normalmente funzionanti come inibitrici della adenilato ciclasi, svolgono in questo caso attività identica a quella delle αq (attivazione della fosfolipasi C) con conseguente produzione di DAG e IP3. Quest’ultimo composto determina l’aumento della concentrazione di calcio intracellulare.
Le subunità βγ attivano la PI3K con produzione di PIP3.
Se delle cellule si muovono in senso preciso e orientato ci deve per forza essere un gradiente chimico dell’agente chemotattico all’esterno della cellula e un conseguente gradiente all’interno della cellula.
La concentrazione del ligando nel liquido extracellulare tra un capo e l’altro di una cellula differisce solo dell’1-2% quando essa è molto distante dalla fonte mentre quando essa è vicina questa differenza è in pratica nulla.
Evidentemente ci sarà una parte della cellula, quella rivolta verso la fonte, che presenterà una frazione maggiore di recettori saturati dal ligando ma la differenza è comunque davvero esigua e non si è ancora riusciti a dimostrare questa differenza di saturazione. Forse più che una questione di saturazione è un problema temporale: la parte della cellula che ha per primo presentato il legame ligando/recettore sarà quella dove si sviluppa il lamellipodio (la testa). Ma questa ipotesi non spiega come mai, spostando la fonte della chemochina, le cellule comincino a spostarsi verso la nuova sorgente cambiando il lamellipodio.
Misurando la concentrazione di calcio all’interno della cellula si è verificato inaspettatamente che essa è più bassa dalla parte verso la quale la cellula si muove. Ma ancora più inaspettato è che anche senza questo gradiente di calcio le cellule si muovono lo stesso. Quindi il problema della chemotassi non è risolvibile considerando solo il calcio.
Nemmeno il cAMP sembra esserne implicato, o meglio, sembra avere un ruolo inibitorio nel processo chemotattico.
Allora si è presa in considerazione l’altra via che porta alla produzione di PIP3. In effetti si è scoperto che in una cellula che si sta muovendo si trova molto IP3K attivata nel lamellipodio.
La produzione di PIP3 provoca il reclutamento di proteine G monomeriche le quali a loro volta possono indurre modificazioni nel citoscheletro.
Quando le cellule sono arrivate in prossimità della fonte della sostanza chemotattica non viene più avvertita un’apprezzabile differenza tra la testa e la coda della cellula. Essa perciò si ferma.
Come si spiega la distribuzione del calcio? L’IP3, prodotto dalla fosfolipasi C, diffonde in tutta la cellula in ms. Di conseguenza la distribuzione del calcio dipende dalla distribuzione del reticolo endoplasmatico all’interno della cellula. e nelle cellule che si muovono il reticolo è situato prevalentemente nell’uropodio (in coda).
Inoltre c’è da considerare un altro fattore: l’espulsione del calcio dalla cellula. Questo processo dipende dall’attività di una pompa specifica attivata dal DAG. Esso, molto meno diffusibile, è prodotto prevalentemente nel lamellipodio. Di conseguenza questa pompa sarà molto più attiva in testa, pompando esternamente maggiori concentrazioni di calcio. La combinazioni di questi due eventi (reticolo e espulsione) è un’ipotesi plausibile per spiegare il gradiente.