Artrite Reumatoide

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica progressiva e invalidante che colpisce lo 0,5-1% della popolazione e in cui la disabilità del paziente cresce nel tempo.

L’indice medio di progressione della malattia è pari all’1,8% del massimo danno possibile e l’incremento medio dell’inabilità equivale all’1,4% della massima possibile all’anno.

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia cronica progressiva e invalidante che colpisce lo 0,5-1% della popolazione e in cui la disabilità del paziente cresce nel tempo.

L’indice medio di progressione della malattia è pari all’1,8% del massimo danno possibile e l’incremento medio dell’inabilità equivale all’1,4% della massima possibile all’anno.

Le disabilità croniche causate dall’AR e dalle altre poliartriti compaiono anche nei pazienti nei quali gli esami clinici e i test di laboratorio indicano un apparente buon controllo della malattia con la terapia farmacologica.

Si è ritenuto, in passato, che la perdita della funzionalità articolare (la invalidità) e il dolore delle fasi più avanzate della malattia fossero correlati al danno strutturale delle articolazioni e, quindi, che la valutazione radiologica delle lesioni secondarie all’artrite fosse uno strumento sufficiente a valutare la gravità della malattia e le sue conseguenze socio-economiche.

Le radiografie di mani e piedi rendono ampiamente conto della distruzione progressiva che colpisce le articolazioni, ma studi clinico-radiologici dimostrano che queste alterazioni radiologiche costituiscono solo uno degli indici della compromissione funzionale e del grado di disabilità. In genere, infatti, il danno radiologico sembra essere più strettamente correlato alla durata di malattia, mentre le disabilità correlano meglio con la qualità della vita, misurabile mediante l’uso dell’HAQ (un questionario clinico di riferimento nella valutazione delle disabilità). L’uso di questo strumento permette di dimostrare che il grado di disabilità è conseguenza di una interazione complessa fra vari fattori compresenti durante il decorso della malattia.

In particolare, secondo Scott e collaboratori nei primi anni di malattia la correlazione tra il danno osservabile in radiografia e la riduzione della funzionalità è modesta;
solo dopo 8-12 anni la connessione diventa evidente. Anche a quel punto, poi, le alterazioni radiologiche rendono conto per il 30% dell’effettivo grado di disabilità che è determinato in gran parte dai sintomi (il dolore) e dalla infiammazione articolare presente in ogni fase della malattia, oltre che dall’interessamento delle grandi articolazioni, di cui non si tiene conto negli scores di valutazione radiologica.

Ma la limitazione del movimento articolare che di fatto comporta una crescente difficoltà a svolgere le attività della vita quotidiana non è l’unico rischio cui sono esposti i pazienti con AR. Diversi studi, infatti, hanno rilevato in tali malati un tasso di mortalità superiore a quanto atteso nella popolazione generale. In altre parole, le malattie reumatiche riducono la speranza di vita, dato che in un arco temporale di 10 anni la mortalità dei pazienti con AR è doppia rispetto a quella dei controlli.

Le cause della riduzione di sopravvivenza sono molte e comprendono, per esempio, la presenza di malattie concomitanti, un’alta incidenza di malattie cardiovascolari, le complicanze tossiche o infettive legate alle terapie immunosoppressive e una, non ultima, la mancata risposta alle terapie con DMARD, acronimo per Disease Modifyng Anti-Rheumatic Drugs, farmaci antireumatici capaci di modificare il decorso della malattia.

 

È proprio l’uso dei DMARD, infatti, ad aumentare la sopravvivenza nei pazienti con AR come dimostrato di recente da uno studio di Choi e collaboratori su 1.240 pazienti con AR che riporta una riduzione della mortalità a seguito del trattamento con methotrexate, attribuito in gran parte, in questo studio, alla riduzione della mortalità cardiovascolare.

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