Dal confronto fra tutti i fattori che dovrebbero spingere a un’azione maggiormente incidente nella prevenzione dei tumori del CCR e la realtà degli impegni praticamente messi in atto nelle varie regioni italiane appare carente sia la valutazione adeguata del fenomeno, sia una vera politica che spinga a prendere le misure necessarie a prevenire il suo impatto sulla salute dei cittadini. Per questo ci si deve chiedere quali sono le vere difficoltà che per ora impediscono una diffusione dei programmi di screening sul CCR in tutto il territorio nazionale come, per esempio, i programmi già esistenti e consolidati sul cancro dell’utero o della mammella.
Innanzitutto, potrebbe essere d’ostacolo una visione culturale negativa del problema, poiché non esiste una vera coscienza nella popolazione sulla sua gravità, come si è consolidata per esempio sul citato cancro della cervice; questo, aggravato dal fatto che il colon con le sue deiezioni è spesso considerato un organo poco nobile e che per il suo studio sono necessari esami poco gradevoli, come raccogliere le feci o l’introduzione nel retto di una sonda più o meno dolorosa, preceduta da una pulizia esasperante.
Inoltre, non si apprezza ancora una sensibilità delle istituzioni che sovrintendono la prevenzione e un’azione propositiva per lanciare programmi di screening, che sono temuti o perché molto complicati o molto costosi o, infine, evitati per ambedue i motivi. Infatti, se si guardano i vari programmi di screening oncologici posti nei piani sanitari regionali, si fanno delle proposizioni d’intenti anche sul cancro del colon, il cui lancio è demandato per lo più dopo una valutazione di fattibilità da parte di commissioni o gruppi di lavoro, vedi per esempio quello dell’Emilia-Romagna ma si potrebbe citare quello della Lombardia, della Liguria e altre ancora. In Puglia è ancora in fase di studio.
L’unica regione che ha già deliberato i mezzi per iniziare questa campagna è la Regione Abruzzo, con la delibera che ha stanziato un miliardo di lire. Poiché, quindi, lo screening generalizzato del CCR ha per ora una ridotta compliance da parte della popolazione (negli USA, solo 1/3 della popolazione ha risposto alle campagne di screening) e anche dalle istituzioni, sarebbe opportuno iniziare con campagne educative mirate, e concentrare gli sforzi sulle popolazioni a maggiore rischio. Questo sarebbe il modo più efficace per ottenere una migliore adesione, considerando la sensibilizzazione indotta da altri eventi infausti in famiglia. In questa partita, oltre ad alcune istituzioni o gruppi particolarmente dedicati diffusi dal Centro al Nord Italia, dovrebbero intervenire anche le Unità gastroenterologiche supportate dalle ASL, con il coinvolgimento dei medici di medicina generale.
Naturalmente, tutto questo prevede elevati costi che tuttavia sarebbero ampiamente compensati dall’ovvia considerazione che ben più costosa appare l’insorgenza e la diffusione del cancro non diagnosticato in tempo, sia in termini di ricovero, intervento, chemioterapia sia di diminuzione degli anni vita, senza contare i costi individuali in termine di malessere fisico, psicologico e sociale. Devono, tuttavia, essere inclusi i costi psicologici indotti dall’entrata nello screening, i rischi ed eventuali complicanze connesse con le procedure diagnostiche come la colonscopia.
Un ultimo aspetto è dato dalla capacità delle strutture di affrontare un così elevato carico di prestazioni necessarie. Si è calcolato, infatti, che la proposta di eseguire la ricerca del sangue occulto nella popolazione oltre i 50 anni e con un’adesione del 50% richiederebbe l’esecuzione di più di 400.000 colonscopie l’anno (che sono all’incirca tutte le colonscopie che si eseguono in Italia, molte delle quali, bisogna dirlo, hanno già una valenza di screening). Pertanto, tutte le valutazioni fin qui fatte devono portare a stringere i tempi per iniziare un’opera seria di screening che coinvolga finalmente la sanità a livello regionale.