I pazienti con ripetuti valori pressori indicativi di ipertensione di grado 2 e 3 sono da candidare alla terapia antiipertensiva, in quanto un gran numero di studi controllati hanno ormai ampiamente dimostrato che in pazienti con questi livelli pressori l’abbassamento di tali valori riduce la mortalità. I benefici in pazienti con basso profilo di rischio possono essere, invece, modesti. I potenziali benefici del trattamento farmacologico devono, pertanto, essere soppesati in rapporto agli effetti collaterali, ai costi e all’impiego delle risorse sanitarie evitando di trasformare in pazienti gli individui sani.
Il trattamento farmacologico va valutato quindi anche in base alla valutazione del rischio cardiovascolare globale per cui va indotta subito terapia antiipertensiva nella ipertensione di grado 3 e nella ipertensione di grado 1 e 2, se associata a rischio cardiovascolare globale aumentato o notevolmente aumentato. Nell’ipertensione di grado 1 o 2, associata a rischio cardiovascolare globale moderato, la terapia può essere posticipata in attesa di valutare gli effetti di un modificazione dello stile di vita sul rischio globale per essere integrati dalla terapia farmacologica, in un secondo momento, in assenza del contributo auspicato da tale modificazione.
Quando i valori iniziali sono nel range normale-alto, la decisione di iniziare il trattamento antipertensivo dipende sostanzialmente dal rischio cardiovascolare globale Gli interventi sullo stile di vita includono: riduzione del peso nei soggetti in sovrappeso ed obesi; riduzione della quantità di cloruro di sodio al di sotto 3.8 g/die (introito di sodio al di sotto di 1.5 g/die pari a 65 mmol/die); restrizione del consumo di alcool a non più di 10-30 g/die di etanolo negli uomini (1-3 bicchierini standard di liquore, 1-3 bicchieri di vino, 1-3 bottigliette di birra) e di 10-20 g/die nelle donne; attività fisica regolare nei soggetti sedentari. È necessario consigliare l’introito di frutta e verdura di circa 300 g/die e di ridurre i grassi saturi.
Tutti gli studi randomizzati degli ultimi anni concludono che i vantaggi della terapia farmacologica antipertensiva derivano dalla riduzione dei valori della pressione arteriosa di per sé e non dal tipo di farmaco impiegato per raggiungere tale scopo, sia in monoterapia che in associazione. Come si dirà a proposito della sindrome metabolica, farmaci quali i beta-bloccanti, che si sono dimostrati validi come farmaci antipertensivi e nella prevenzione dell’IMA e nello scompenso cardiaco, vanno valutati attentamente in pazienti diabetici o con sindrome metabolica a causa dei loro effetti prodiabetogeni.
Gli ACE-I e gli inibitori dell’Angiotensina II hanno dimostrato effetti favorevoli sulla ipertrofia ventricolare sinistra, sulla componente fibrotica, sulla microalbuminuria e sulla proteinuria, nonché nel preservare la funzionalità renale ritardando l’evoluzione verso l’insufficienza renale.I calcio-antagonisti hanno dimostrato la loro utilità nel ridurre la progressione della sclerosi carotidea. Nei casi di P.A. particolarmente elevata può essere necessario associare diversi farmaci per ottenere effetti visibili sulla P.A. anche se ciò può comportare una diminuzione della compliance del paziente verso la terapia.
Quando possibile, in tutti i pazienti ipertesi eleggibili al trattamento farmacologico, la P.A. dovrebbe essere ridotta a valori minori di 140/90 mmHg ed eventualmente a valori ancora più bassi se tollerati. Nei diabetici e nei pazienti con MCV clinicamente nota, il trattamento antipertensivo deve essere più aggressivo, mirando a valori pressori inferiori a 130/90 mmHg se possibile.