L’importanza della sindrome metabolica, negli ultimi anni, integra l’attuale concetto di rischio cardiovascolare globale e si è affermata al punto da essere inglobata nelle ultime Linee Guida Europee per la valutazione del rischio cardiovascolare.
La sindrome metabolica è una costellazione di fattori di rischio cardiovascolari e metabolici, quali l’obesità addominale, la dislipidemia aterogenica (LDL-Col), la riduzione della tolleranza al glucosio, l’aumento della insulino resistenza e l’ipertensione arteriosa.
L’importanza della sindrome metabolica, negli ultimi anni, integra l’attuale concetto di rischio cardiovascolare globale e si è affermata al punto da essere inglobata nelle ultime Linee Guida Europee per la valutazione del rischio cardiovascolare.
La sindrome metabolica è una costellazione di fattori di rischio cardiovascolari e metabolici, quali l’obesità addominale, la dislipidemia aterogenica (LDL-Col), la riduzione della tolleranza al glucosio, l’aumento della insulino resistenza e l’ipertensione arteriosa.
La diagnosi viene posta quando sono presenti almeno 3 dei seguenti fattori di rischio: circonferenza addome _102 cm uomini; _88 cm donne; trigliceridi _150 mg/dl; HDL<40 mg/dl (uomini); <50 mg/dl (donne); glicemia a digiuno _100 mg/dl; pressione arteriosa _130/85 mmHg.
Sindrome Metabolica: Definizioni Internazionali
La definizione più ampiamente utilizzata è quella NCEP-ATPIII.
Bisogna comunque aggiungere che la definizione più completa di sindrome metabolica è tuttora in corso di completamento con l’identificazione di altri parametri clinici e biochimici, quali l’alterata distribuzione corporea del grasso, la ricerca di adipochine (elevati livelli di leptina e bassi livelli di adiponectina), la presenza di steatosi epatica, l’infiltrazione di grasso nel tessuto muscolare scheletrico, la dislipidemia aterogenica (elevati livelli di apolipoproteina B e di particelle di LDL piccole e dense), elevati livelli di acidi grassi liberi, la disfunzione endoteliale, la microalbuminuria, l’iperuricemia, la determinazione di uno stato pro-infiammatorio (elevati livelli di proteina C Reattiva), l’interleuchina-6 e della conta leucocitaria, una riduzione della albuminemia, il riscontro di uno stato pro-trombotico (elevati livelli dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) e del fibrinogeno, indici aumentati di stress ossidativo ed attivazione piastrinica), la sindrome dell’ovaio policistico, la presenza di acantosis nigricans.
La rilevanza della microalbuminuria è ormai un parametro accettato nel determinare un aumento del rischio cardiovascolare grazie a vari studi che hanno dimostrato da tempo che esiste una mortalità più elevata in pazienti ipertesi con Microalbuminuria vs. pazienti senza Microalbuminuria. Ma tale fattore ancora compare in modo incostante nelle tavole per la stratificazione del rischio cardiovascolare.
Lo studio Cuspidi ha dimostrato che vi è una differente prevalenza delle componenti della sindrome metabolica nei due sessi ed in particolar modo due componenti della sindrome metabolica sono tre volte più frequenti nelle donne rispetto agli uomini, e sono: bassi valori di HDL-colesterolo e obesità viscerale, a parità di elevati valori di trigliceridemia, intolleranza glicidica, ed ipertensione.
I meccanismi patogenetici nello sviluppo della sindrome metabolica sono:
– insulino-resistenza
– accumulo di grasso (soprattutto di tipo viscerale)
– produzione di una serie di fattori di origine epatica, vascolare ed immunologica.
Secondariamente alla insulino-resistenza, si può sviluppare uno stato di iperninsulinemia che determina disfunzione endoteliale che causa vasocostrizione per stimolazione del sistema nervoso simpatico ed aumentata ritenzione del sodio, con relativo aumento dello stato di infiammazione, di ossidazione e aumento dello stato pro trombotico. Se a tale condizione si aggiunge la presenza di sindrome metabolica o ancor più diabete mellito di tipo 2 la progressione verso la malattia aterosclerotica è più spiccata.
L’eccesso di adipe può localizzarsi particolarmente in alcuni distretti: in quello viscerale (grasso mesenterico e omentale), nella regione addominale superiore o in quello sottocutaneo nella regione tronculare inferiore.
Pertanto, è necessaria anche una valutazione qualitativa dell’obesità per le differenti caratteristiche metaboliche ed endocrinologiche ed un diverso impatto clinico e prognostico del rischio cardiovascolare:
– Obesità a livello addominale: centrale o viscerale o androide.
Questo tipo di obesità è quella utile per la determinazione della sindrome metabolica, si associa frequentemente al diabete e si comporta come fattore di rischio cardiovascolare indipendente per l’incrementata frequenza con cui si associa a fattori di rischio maggiore, in particolare alla dislipidemia, rappresentata da ipertrigliceridemia e bassi livelli di HDL e all’ipertensione per l’insulino-resistenza indotta che determina disfunzione endoteliale. È causa di ridotta sopravvivenza e aumentata mortalità
– Obesità a livello di glutei e cosce: periferica o sottocutanea o ginoide. L’associazione dell’obesità con il diabete è evidenziata sia da studi osservazionali che di intervento, tuttavia solo il 50% degli obesi gravi sviluppano diabete e non tutti i diabetici sono obesi.
L’obesità è un fattore di rischio per il diabete, ma non è una condizione né sufficiente, né necessaria per lo sviluppo di questa malattia. L’HPFS ha mostrato la superiorità del parametro circonferenza vita nel predire il diabete. Il DPP ha mostrato la superiorità dell’intervento intensivo sia sullo stile di vita che sulla terapia medica nella prevenzione del diabete in soggetti con obesità addominale e ridotta tolleranza al glucosio.
L’analisi effettuata dallo studio HOPE (Heart Outcomes Protection Evaluation) ha valutato l’effetto dell’obesità viscerale (misurato in terzili di circonferenza vita) sul rischio cardiovascolare per tutte le cause. Il rischio di mortalità per cause cardiovascolari o per morte improvvisa legata a cause cardiovascolari aumentava in modo direttamente proporzionale all’aumento del terzile di circonferenza vita.
Ne deriva che un calo di peso ed una conseguente riduzione della circonferenza vita determinano una ricaduta in termini di riduzione del rischio CV. Infatti, un calo di peso di 10 kg determina una riduzione del 20% della mortalità totale e di circa il 30% della mortalità associata al diabete, una riduzione dei valori di pressione arteriosa di circa ~10mmHg, una riduzione di circa il 50% della glicemia a digiuno ed un conseguente miglioramento della dislipidemia con riduzione del 10% nel colesterolo totale, del 15% nell’LDL, del 30% nei trigliceridi ed un aumento dell’ 8% nell’HDL.
La sindrome metabolica si associa, inoltre, ad una maggiore suscettibilità allo sviluppo di ipertensione arteriosa. L’ipertensione diastolica isolata è associata ad una maggiore probabilità di sindrome metabolica. Tuttavia, l’alta frequenza di ipertensione sistolica isolata nella popolazione ipertesa fa sì che essa rappresenti il più comune sottotipo di ipertensione nei soggetti con sindrome metabolica. I risultati dello studio Cuspidi dimostrano che i pazienti con sindrome metabolica presentano un coinvolgimento cardiaco ed extracardiaco più pronunciato rispetto ai pazienti senza sindrome metabolica. Per i motivi sovraesposti risulta evidente che il calcolo del rischio cardiovascolare globale deve tenere conto delle nuove conoscenze in termini biochimici e metabolici dei meccanismi che sottendono alla formazione della placca aterosclerotica. Infatti, la sindrome metabolica si associa ad una maggiore suscettibilità allo sviluppo di obesità e di ipertensione arteriosa stabile (PA>140/90 mmHg) e ad un rischio 5 volte più alto di sviluppare diabete mellito e 2 volte più alto di sviluppare eventi cardiovascolari.
Un’altra considerazione va evidenziata, ovvero, che il rischio di sviluppare eventi cardiovascolari aumenta all’aumentare del numero delle componenti della sindrome metabolica.
Tale considerazione assume ulteriore rilevanza se si considera che si affacciano alla nostra valutazione possibili futuri parametri clinicostrumentali
per la valutazione del rischio CV nella SM e che sono sotto elencati:
– fattori di rischio emergenti: Proteina C-Reattiva; Apolipoproteine; Insulinemia; Adipochine
– danno d’organo subclinico: Microalbuminuria; Ridotta filtrazione glomerulare; Ridotta distensibilità vascolare; Ipertrofia ventricolare sinistra; Disfunzione diastolica; Ingrandimento striale; Alterazioni e/o danno carotideo.
Non esistono evidenze che il trattamento globale della sindrome metabolica sia più efficace del trattamento di uno solo dei fattori costituenti, anzi le evidenze di questi primi anni di approccio terapeutico alla sindrome metabolica sembrano dimostrare che il miglior atteggiamento di prevenzione e cura risieda nell’approccio globale alle modifiche delle abitudini di vita affiancate da terapie mirate alla riduzione dei fattori di rischio conclamati e classicamente noti.
Per quanto concerne gli interventi terapeutici della sindrome metabolica essi devono essere di tipo non farmacologico e di tipo farmacologico. Anche da questo punto di vista la consensus confererence ha dato primaria importanza alle modificazioni delle abitudini di vita (abolizione abitudine tabagica, corretta alimentazione),
dieta ipocalorica (riduzione introito calorico di almeno 500c/die) e potenziamento dell’attività fisica.
Il trattamento farmacologico della sindrome metabolica prevede l’uso di ipolipemizzanti, antidiabetici ed antipertensivi.
In caso di C-LDL elevato: dare priorità alla riduzione del C-LDL rispetto agli altri parametri del profilo lipidico.
Pressione arteriosa (mmHg) <130/80
Trigliceridemia (mg/dl) <150
LDL Colesterolo (mg/dl) 70-100
HDL Colesterolo (mg/dl) >45
Circonferenza addominale (cm) <102uomini
<88 donne
Glicemia a digiuno (mg/dl) <100
Emoglobina glicosilata (%) <6,5
Rischio cardiovascolare a 10 anni (%) <10
– Rischio elevato: TARGET C-LDL <100 mg/dl (o eventualmente <70 mg/dl nei pazienti a rischio molto alto)
– Rischio moderatamente elevato: TARGET C-LDL <130 mg/dl (o eventualmente <100 mg/dl)
– Rischio moderato: TARGET C-LDL <130 mg/dl
– Rischio basso: TARGET C-LDL <160 mg/dl.
– In caso di C-HDL ridotto:
– intensificare il trattamento basato sulle modificazioni dello stile di vita
– prescrivere una terapia farmacologica per innalzare i livelli di CHDL.
In caso di alterata glicemia a digiuno: modificazione abitudini alimentari per rallentare la progressione verso il diabete di tipo 2.
In presenza di diabete: interventi farmacologici per portare ad un valore di HbA1c <6,5%.
In caso di pressione arteriosa normale-alta: ridurre la PA almeno fino a valori di <130/80 mmHg attraverso:
– modificazioni dello stile di vita
– controllo del peso
– incremento dell’attività fisica
– moderazione nel consumo di alcolici
– riduzione del consumo di sodio.
Se ciò non dovesse essere sufficiente:
– Prendere in considerazione la terapia farmacologifca.
Le indicazioni alla terapia farmacologica antipertensiva nella sindrome metabolica sono:
– Sindrome metabolica con valori pressori >140/90mmHg
– Diabete mellito anche con pressioni arteriose nella fascia normale-alta
– Microalbuminuria indipendentemente dai valori pressori.
I farmaci antipertensivi da impiegare preferenzialmente in tali casi sono gli ACE-inibitori, i bloccanti recettoriali dell’Angiotensina II ed i Calcio-antagonisti.
Sarebbero da evitare in tale sindrome farmaci quali i diuretici tiazidici e i bloccanti per i loro effetti pro-diabetogeni e per l’effetto negativo sulle componenti lipidiche e sul peso corporeo e quindi da utilizzare solo se indispensabili.