L’ustione è una lesione causata dall’azione del calore sulla cute, ed è provocata dal fuoco o dal contatto con liquidi o solidi surriscaldati. Ustioni particolari sono quelle provocate dal passaggio di corrente elettrica o dal contatto con caustici.
L’entità del danno cutaneo è influenzata da quattro principali fattori:
1.temperatura;
2.durata dell’esposizione;
3.natura dell’agente ustionante;
4.spessore della cute nell’area ustionata (Ie ustioni al dorso e in sedi ricche di peli riparano meglio di quelle che interessano cute sottile e glabra). I bambini e gli anziani hanno una prognosi peggiore.
USTIONI TERMICHE
II calore provoca una coagulazione delle proteine con inattivazione degli enzimi cellulari e necrosi tissutale. Ai bordi dell’area necrotica si realizza un processo di reattività vascolare, che può progredire dalla stasi alla trombosi e alla necrosi ulteriore, oppure evolvere favorevolmente verso un’iperemia attiva seguita da riassorbimento dell’edema e guarigione.
L’azione dell’agente ustionante sui tessuti provoca inizialmente liberazione d’istamina e quindi vasodilatazione venosa e liberazione di bradichinina, cui consegue vasocostrizione arteriolare. Seguono poi aumento della permeabilità vasale con edema distrettuale e ulteriore liberazione di chinine, che attivano Ia diapedesi e l’adesione dei polimorfonucleati alle pareti dei piccoli vasi con facili eventi trombotici. Tale processo si completa nel giro di 2-3 giorni, il tempo di solito necessario per valutare adeguatamente la profondità del danno da ustione.
Successivamente, con la lisi dei leucociti accumulati nei focolai di ustione, si liberano radicali dell’ossigeno, che aggrediscono le pareti cellulari, provocando Ia liberazione di lipoperossidi e di prostanoidi edemigeni.
Alfine, le proteasi liberate dai leucociti e dai cheratinociti e la presenza di batteri contaminanti ritardano la guarigione delle ustioni e ne condizionano un andamento sfavorevole rispetto a quello delle altre ferite.
USTIONI CHIMICHE
il danno è prodotto non dal calore, ma dall’azione caustica di acidi o alcali che, a contatto con la cute, provocano una denaturazione proteica cellulare e una necrosi coagulativa tissutale, che inizia sulla cute, ma che si approfondisce nei giorni successivi per estensione verso i tessuti sottostanti.
Natura, concentrazione e durata dell’esposizione all’agente chimico causale sono i fattori che determinano profondità ed estensione del danno.
USTIONI ELETTRICHE
Il calore che si sprigiona per effetto Joule è proporzionale alla resistenza dei tessuti organici al passaggio della corrente. Il danno può cosi essere limitato sulla cute (poco resistente), e più esteso a livello di ossa e adipe.
Il punto d’ingresso della corrente è spesso riconoscibile come un’area depressa di necrosi circoscritta profonda, mentre il punto d’uscita è di solito situato nelle superfici distali del corpo ed è più ampio e irregolare.
Tutti gli organi che si trovano lungo il tragitto della corrente possono riportare gravi danni con rischio per la vita del paziente.
ESTENSIONE E PROFONDITÀ DELLE USTIONI
L’estensione e la profondità delle ustioni condizionano la gravità.
Le ustioni superficiali, che comprendono Ie ustioni di 1° grado e quelle di 2° grado superficiali, guariscono spontaneamente con buon esito; le ustioni profonde, che comprendono le ustioni di 2° grado profondo e quelle di 3° grado, non tendono alla guarigione o riparano con gravi sequele cicatriziali, per cui si impone il loro trattamento chirurgico, tendenzialmente precoce, con escarectomia e con innesti cutanei.
USTIONI DI 1° GRADO
Sono caratterizzate istologicamente da un danno epidermico superficiale senza alterazione della giunzione dermoepidermica e con congestione e dilatazione del plesso vasale superficiale e edema del derma.
Clinicamente sono presenti eritema, edema e bruciore che si attenuano in 2-3 giorni fino alla regressione completa nel giro di una settimana, spesso con ampie esfoliazioni squamose superficiali. Nella maggioranza dei casi, sono provocate da una eccessiva esposizione al sole o dal contatto con liquidi caldi.
USTIONI DI 2° GRADO
Nelle ustioni di 2° grado superficiali, il quadro istologico è caratterizzato da un danno epidermico quasi completo, con coinvolgimento della giunzione dermo-epidermica e del derma papillare, e da un’alterazione della funzione di barriera e del plesso vasale dermico con fuoriuscita di siero, che si accumula nelle flittene o che esce dalle superfici dermiche disepitelizzate.
Clinicamente, si osservano eritema, edema e flittene a contenuto sieroso spesso ampie e lacerate. II dolore è intenso e prolungato. La guarigione è spontanea, ma avviene nell’arco di due-tre settimane, con ri-epitelizzazione a partenza dai residui epidermici presenti ai bordi delle lesioni o sul fondo delle stesse, in corrispondenza degli annessi ancora vitali.
Anche nelle ustioni di 2° grado profonde si osservano eritema molto intenso, edema e flittene, ma il danno epidermico è totale con estensione al derma papillare e medio e coinvolgimento delle strutture nervose superficiali. Dolore e bruciore possono così risultare meno intensi che nelle ustioni superficiali. I tempi di guarigione superano spesso le quattro settimane e, se non vengono anticipati dal ricorso a innesti dermo-epidermici, sono seguiti da esiti cicatriziali.
USTIONI DI 3° GRADO
Le ustioni di 3° grado, o ustioni a tutto spessore, sono rappresentate da escare di colorito pallido, grigiastro o bruno. Il danno dermo-epidermico è completo e talora si estende a sottocute, fasce e strutture muscolari e scheletriche. Nel contesto dei focolai di ustione sono diffusamente presenti trombosi vasali e necrosi delle strutture nervose, per cui la superficie ustionata risulta fredda e insensibile.
Le aree di cute necrotica corrispondenti alle escare da ustione, per l’assenza di residui cutanei vitali superstiti, non mostrano alcuna tendenza alla riparazione. Il distacco spontaneo delle escare si realizza molto lentamente per lisi colliquativa lungo il piano sottocutaneo o fasciale, favorita dall’inquinamento batterico e dagli enzimi leucocitari.
L’unica riparazione possibile è chirurgica, con escarectomia tendenzialmente precoce e con auto-innesti dermo-epidermici.
ESTENSIONE
Un altro fattore che concorre a determinare la gravità di un’ustione è la sua estensione percentuale sull’intera superficie corporea, calcolabile attraverso la “regola del nove” (testa 9%, arti superiori 18%, tronco e addome 36%, arti inferiori 36%).
Ogni ustione estesa a oltre il 30% della superficie corporea, non adeguatamente trattata, va inevitabilmente incontro a shock da ustione (ipovolemico), che si caratterizza per la perdita selettiva di acqua, sali e proteine, con concentrazione nel sangue degli elementi corpuscolati.
Fino al 75% dei grandi ustionati che supera la fase di shock decede poi per sepsi, nonostante assistenza intensiva e terapie antibiotiche. Questo perché, per difetto della protezione cutanea, le aree ustionate sono facilmente invase da batteri esogeni e endogeni, che, sviluppandosi negli essudati fibrinosi e nei tessuti necrotici, aggravano la profondità delle ustioni e promuovono la sepsi. L’inquinamento batterico (con approfondimento dell’ustione) si verifica anche nelle piccole ustioni, con comparsa di uno stato settico febbrile.
A seguito dello shock e della sepsi possono verificarsi complicanze a carico dei vari organi (broncopolmoniti, insufficienza renale, emorragie, encefalopatie ischemiche o infettive, DIC).
TERAPIA
In caso di ustioni estese, si deve innanzitutto provvedere alla ventilazione polmonare (maschera o intubazione) e al controllo del sistema cardiocircolatorio, avviando la somministrazione di fluidi per via parenterale (nelle prime otto ore si dà la metà del liquido previsto per la giornata; la restante parte viene suddivisa nelle sei ore successive). Vanno inseriti un catetere uretrale a permanenza e un sondino nasogastrico (per evitare polmoniti ab ingestis). Si procede poi alla sedazione del dolore e alla prima medicazione, con soluzioni antisettiche blande, vuotando le flittene più ampie.
Per prevenire e trattare lo shock, ci sono due scuole di pensiero: infondere solo acqua e sali, e non proteine, che verrebbero perse negli spazi extracellulari, oppure infondere anche proteine.
Per evitare l’inquinamento batterico, l’ustionato deve essere alloggiato in una struttura specializzata, ed essere sottoposto a regolare prelievo di tamponi batteriologici sui focolai di ustione; in caso di infezione vengono usati antibiotici o immunoglobuline.
Ogni focolaio, indipendentemente dall’estensione, necessita di una terapia topica, effettuata mediante farmaci antisettici: la soluzione più usata è la sulfadiazina d’argento in crema all’1%, che agisce sia aderendo alla superficie della parete batterica, sia legandosi al DNA dei germi sensibili (compresi streptococchi e stafilococchi).
In caso di ustioni circoscritte e non essudanti si possono usare pomate antibiotiche a base di gentamicina o eritromicina; bisogna però tener presente che possono ritardare la riepitelizzazione (che viene frenata anche dai corticosteroidi topici). Si usano anche garze grasse, medicate con acido jaluronico e sulfadiazina d’argento, che mantengono la superficie umida, e possono essere rinnovate con sanguinamento e dolore minimo.
Le ustioni profonde, che non tendono alla guarigione, necessitano di trattamento chirurgico, che consiste fondamentalmente nell’escarectomia e negli innesti dermoepidermici.
L’escarectomia può essere tangenziale (con un dermatomo a mano si allontanano strati successivi di tessuto necrotico fino al raggiungimento di una superficie sanguinante) o alla fascia (più rara, per ustioni molto profonde; con bisturi e forbici si sezionano i tessuti fino alla fascia muscolare). Deve essere compiuta il prima possibile, in genere in terza o quarta giornata, quando lo shock è già superato e la profondità è definita.
In questo modo si riduce anche il rischio di sepsi e si migliora la possibilità di attecchimento di innesti dermo-epidermici, prelevati da aree di cute sana del paziente (più sono sottili migliore è l’attecchimento, ma il risultato estetico è proporzionale allo spessore). I lembi vengono tagliati in reti per espanderli e permettere un miglior drenaggio del sangue, e poi vengono fissati con punti metallici.
Segue una medicazione con tulle grasso già medicato o ricoperto da impacco di soluzioni debolmente antisettiche, che favoriscano il processo di riepitelizzazione.
Se l’area è molto estesa, e la cute del paziente non basta, si può ricorrere a innesti allo genici (cute di cadavere), xenogenici (cute di maiale) o compositi: questa metodica prevede una escarectomia precoce e l’applicazione di cute di cadavere, che viene lasciata in sede per due settimane. Trascorso tale periodo, utile per allestire colture di cheratinociti del paziente, si procede all’allontanamento con dermatomo dell’epidermide dagli innesti di cute di cadavere e all’applicazione, sull’alloderma residuo ormai stabilmente attecchito, dei cheratinociti coltivati autologhi.