Apprendimento
La normale salivazione di un cane che sente l’odore del cibo (stimolo incondizionato) rappresenta di per sè un riflesso incondizionato, perchè innato. Nell’esperimento di Pavlov, un cane viene addestrato ad associare il cibo al suono di una campanella, cosicchè ogni qualvolta questa suona, il cane saliva. La salivazione che avviene grazie ad uno stimolo condizionato (in questo caso il suono della campanella) rappresenta appunto, un riflesso condizionato, dettato da una memoria associativa.
Nell’esperimento di Kandel sull’Aplysia, una lumaca di mare, veniva ripetutamente applicato uno stimolo doloroso nel sifone di questa, finchè, abituatasi a ricevere lo stimolo, questa non rispondeva più, poiché addestrata ad intendere quello stimolo come non nocivo, ovvero biologicamente non importante. In un altro esperimento sempre con la lumaca di mare, venne prima applicato lo stimolo doloroso e successivamente un secondo non doloroso (come una carezza) nello stesso punto.
La risposta della lumaca, anche allo stimolo non doloroso, è stata quella di ritrarre egualmente la branchia, in quanto anche questo rappresentava un preavviso di uno stimolo nocivo che si sarebbe presentato. In questi ultimi due esperimenti con la lumaca di mare subentrano in gioco rispettivamente l’abitudine e la sensibilizzazione, che non rappresentano una memoria associativa, ma bensì una memoria riflessa, che si propone di riconoscere l’importanza di uno stimolo biologico.
Quando si dà uno stimolo nocivo si attiva un neurone sensitivo facilitatore che produce serotonina e promuove la crescita di nuove sinapsi facilitando la memorizzazione a lungo termine dello stimolo ricevuto. Oppure, la sinapsi può essere rinforzata da questo neurone tramite l’aumento dei bottoni sinaptici (tramite incentivo della traduzione cellulare), facilitando così la memorizzazione a breve termine. In entrambi i casi, più questo neurone serotoninergico viene stimolato, più esso agisce sulla sinapsi nei due modi anzidetti. Questo concetto è alla base dei riflessi e quindi della memoria implicita.
Le azioni possono essere guidate dall’esterno e quindi seguire una via visuo-spaziale o uditiva ad esempio, o possono essere guidate dall’interno; è vero tuttavia che molto spesso le azioni sono guidate sia dall’esterno che dall’interno: ad esempio, il calciatore che sta per battere un rigore ha già deciso internamente che tirerà a destra, ma è certamente condizionato anche esternamente, dalla posizione del portiere.
L’ ”esterno” è rappresentato dagli stimoli sensoriali che noi riceviamo, e che, per essere appresi, passano da determinate strutture come il cervelletto, la corteccia associativa parietale e la corteccia pre-motoria. L’ ”interno” è rappresentato dai circuiti anatomici che sono stati “appresi” e che ci permettono di eseguire movimenti stereotipati, immagazzinati in “file” rappresentati da circuiti anatomici già consolidati (infatti è possibile uscire da una stanza la cui struttura si conosce già, anche con gli occhi bendati; in questo senso, noi siamo guidati dall’interno). Ogni volta che si vuole eseguire un’azione, è possibile scegliere proprio da questi “file” il modo di farla: le strutture anatomiche che spettano a questi meccanismi di scelta sono fondamentalmente la corteccia cingolata, quella prefrontale e lo striato.
Quando si impara a fare qualcosa (l’esempio classico è quello del bimbo che impara ad andare in bicicletta) si presta attenzione ad esempio, alla persona che ci sta mostrando “come fare per”, e quindi in un certo senso, attraverso la visione attenta, noi chiediamo una conferma del movimento che si sta per apprendere. Un giocatore esperto di baseball, sa già come modificare preventivamente la postura per cambiare la traiettoria della pallina, il principiante no, perchè non l’ha ancora appreso e quindi, in termini molto semplici, non ha ancora i circuiti anatomici adeguati al caso.