I quattro momenti diagnostici che devono essere seguiti per arrivare alla diagnosi finale sono:
· Diagnosi orientativa
· Diagnosi generica
· Diagnosi specifica
· Diagnosi individuale
I quattro momenti diagnostici che devono essere seguiti per arrivare alla diagnosi finale sono:
· Diagnosi orientativa
· Diagnosi generica
· Diagnosi specifica
· Diagnosi individuale
I campioni raccolti devono essere utili e utilizzabili per definire il profilo genetico, ma un profilo genetico non ha alcun significato se non associato ad una tipologia di tessuto. Come dovremmo aver appreso dalla lezione del giorno prima sulla BPA, questa tecnica – seppur utilissima – non ha nessun valore se non è supportata da una diagnosi di specie e da un profilo. Dall’intersezione di tutto ciò che è stato detto è possibile ricostruire la scena del crimine o quanto meno fornire delle indicazione su come i fatti si sono svolti.
Diagnosi orientativa
A cosa serve la diagnosi orientativa?A stabilire su quale traccia o su quale parte del reperto rivolgere la nostra osservazione. In questa fase ci sono di supporto due strumenti: uno fisico, il Crimescope e uno chimico, il Luminol.
– Crimescope: permette di indicare su di un reperto abbastanza ampio, quale ad esempio un lenzuolo, un fazzoletto o di qualunque tipo dove non si osservano delle tracce evidenti, la presenza di tracce biologiche. Perché? Perché i fluidi biologici quali sperma, saliva, urine emettono una luce di fluorescenza, vale a dire che irradiando la superficie sulla quale è presumibilmente presente una macchia con una radiazione a 450nm (valore molto vicino all’ultravioletto)il cui colore è blu, ciò farà in modo che il colore emesso dalla macchia bianca sarà l’azzurro. Se però guardassimo l’oggetto senza un filtro (occhiali)non potremmo notare le eventuali radiazioni di fluorescenza. Mettendo gli occhiali arancioni che trattengono preferenzialmente la radiazione blu, invece, tutte le radiazioni che riflesse vengono trattenute dall’occhiale e a passare sarà solo la luce di fluorescenza che non può essere percepita dall’occhio. Quindi il Crimescope sulla scena del crimine ci può indicare quale superficie di un reperto può presumibilmente contenere un fluido biologico.
– Luminol:l’effetto ottico prodotto dalla reazione al Luminol (macchia azzurra) è molto simile a quello prodotto dal Crimescope, pur essendo mezzi di natura diversa (l’uno fisico, l’altro chimico) che sfruttano principi diversi. La reazione al Luminol è una reazione di chemiluminescenza, provocata dal legame dello stesso con gli ioni ferrosi che, in presenza di perossido di idrogeno, viene ossidato. In seguito a tale fenomeno in corrispondenza delle tracce, presumibilmente ematiche, deve comparire una caratteristica luminescenza blu. Il segnale è molto breve, dura infatti meno di 30 secondi perciò bisogna essere ben attrezzati per poterlo vedere. Il test non è specifico per l’emoglobina ma per gli ioni ferrosi pertanto la presenza di altre sostanze contenenti ioni metallici bivalenti (quali ioni di rame, pomodori, verdure ad esempio) fornisce falsi positivi.
Tale diagnosi è orientativa in quanto tramite questi due mezzi è possibile esaltare qualcosa che non è visibile, quindi una traccia latente; se non ci fosse questa fase sarebbe, appunto impossibile orientarsi. La diagnosi orientativa può essere posta tramite i due strumenti sopra descritti. Ribadiamo il concetto che l’applicazione del Luminol non è quella di rilevare la presenza di sangue, ma la presenza di ioni ferrosi. In questa fase, quindi, verrà posta una diagnosi di tipo indicativo. Lo step successivo (diagnosi generica) verrà concentrato sull’area di reperto indicata dal Luminol o dal Crimescope.
Diagnosi generica
Questo secondo scalino della piramide diagnostica risponde alla domanda “presumibilmente di cosa si tratta?”. Se l’ipotesi è che il campione possa contenere tracce ematiche, esistono dei tests di semplicissima esecuzione che si possono effettuare anche sulla scena del crimine che indicano se è il caso o meno di prelevare quel campione. Qualora la risposta ai tests generici sia positiva non siamo ancora in grado di stabilire se si tratti effettivamente di sangue, però sicuramente ci indirizza verso il prelievo di quella traccia per le successive indagini di laboratorio. Quali sono i tests che trovano applicazione nella diagnosi generica?
· Test alla TMB (tetrametilbenzidina) o test di Adler: si basa sull’attività pseudoperossidasica del ferro contenuto nell’eme che catalizza la ossidazione di derivati della tetrametilbenzidina in presenza di perossido d’idrogeno. Questa reazione, per concentrazioni crescenti di eme, determina lo sviluppo di un colore che varia dal giallo, al giallo-verde, al verde scuro ed infine al blu (se le concentrazioni di eme sono estremamente elevate). Il test non è specifico per l’emoglobina, perché la presenza di altre sostanze con proprietà ossidanti fornisce falsi positivi ma, è molto sensibile e sono stati prodotti diversi kit pronti all’uso simili ai tests utilizzati per l’esame delle urine.
· Test alla FNF (fenolftaleina) o test di Kastle-Mayer: si basa, anch’esso, sull’attività pseudoperossidasica dell’eme che catalizza l’ossidazione della fenolftaleina ridotta (FNF-R) che è incolore. Quest’ultima, nella forma ossidata (FNF-O), a pH alcalino e per concentrazioni crescenti di eme, si colora dal rosa, al rosso-violaceo, al viola. Il test non è specifico, perché la presenza di altre sostanze con proprietà perossidasiche produce risultati falsamente positivi. Il test non è specifico per l’emoglobina ma, è molto sensibile.
La positività del test alla TMB e del test alla FNF come del test al Luminol non consente di dire che ci si trovi davanti ad una traccia ematica (reagiscono in presenza di ioni ferro), ma che con molta probabilità lo sia,quindi deve essere necessariamente campionata perché anche il campionamento deve essere adeguato (né troppo né troppo poco). Nella diagnosi generica vengono applicati anche tests di biochimica clinica. La fosfatasi acida dove si trova? Nel liquido seminale. Quindi il test per la fosfatasi acida viene utilizzato nella diagnosi generica per la ricerca di sperma ma non è specifico proprio perché l’enzima è contenuto anche in altri fluidi biologici.
Diagnosi specifica
Questa fase ci consente di caratterizzare con certezza la traccia e stabilirne l’origine umana(ad esempio traccia di sangue umano, traccia di sperma umano).
Quali sono i tests che vengono utilizzati? In laboratorio si utilizzano frequentemente dei microdispositivi che consentono, per esempio, la ricerca della beta-HCG e sono dei piccoli contenitori in plastica costituiti da una base e da una superficie; tra le due decorre una striscetta di nitrocellulosa. La ricerca dell’emoglobina umana su membrana di nitrocellulosa viene eseguita con il metodo del doppio anticorpo sandwich. La soluzione ottenuta dall’aggiunto della traccia ad un tampone si deposita sulla membrana a livello di un foro,al di sotto del quale è presente l’anticorpo, che nel caso della traccia ematica sarà un anticorpo anti-emoglobina umana marcato con oro colloidale; il colore di questo composto è rosso. L’immunocomplesso migra per capillarità nella zona della membrana dove sono presenti anticorpi policlonali anti-emoglobina umana. In questa regione (zona test), si forma una banda colorata di rosso. L’anticorpo monoclonale anti-emoglobina che non ha reagito migra anche nella zona della membrana dove sono presenti anticorpi anti-anticorpi umani (zona controllo), che formano una seconda banda colorata. In questo caso il test è positivo. Questo non è l’unico test immunocromatografico disponibile, infatti L’OBTI test che è uno dei più usati utilizza un colorante differente che in caso di positività darà bande di colore blu. Il principio è identico.
Un’altra possibilità è che oltre all’anticorpo anti-emoglobina della prima regione, vi sia un secondo anticorpo diretto contro un particolare epitopo, quindi le bande colorate derivanti dalla formazione degli immunocomplessi saranno due (oltre al controllo). In passato si utilizzavano per la diagnosi specifica degli antisieri anti-specie umana (tecnica di immunodiffusione radiale con antisiero umano), accantonati perché molto poco sensibili.
Diagnosi individuale
E’ l’ultima fase della piramide della nostra ricerca e consente di stabilire il profilo genetico di una persona. Con lo studio dei profili genetici siamo in grado di affermare due cose:
· Individuare una persona
· Definire la relazione parentale.
La prima affermazione si basa sul fatto che oggi siamo in grado di studiare specifiche regioni del DNA, dette STR (short tandem repeats) caratterizzate dalla ripetizione in serie di una regione core di 2-6 paia di basi.
Quindi il profilo genetico di una persona è definito dallo studio di una serie di loci STR; tali loci sono altamente polimorfici e questo fa sì che nel mondo non esistano due individui che condividano il profilo genetico (fatta eccezione per i gemelli omozigoti). Quindi se si studiasse per un gruppo di persone (ad esempio, per i presenti in aula) una sequenza di 15 loci che sono quelli che di solito si utilizzano, verrebbe fuori che nessuno condivide lo stesso profilo.Queste regioni STR sono distribuite omogeneamente su tutto il DNA umano e sono localizzate soprattutto su DNA intronico (cioè quelle regioni che con lo splicing vengono eliminate, ciò rende il motivo del perché siano polimorfiche) perché non vengono espresse altrimenti avremmo proteine non funzionanti.Se studiassimo sulle regioni espresse e quindi più conservate, avremmo un minor numero di polimorfismi (non ci sarebbe utile per la ricerca individuale).
Da queste considerazioni deriva che se io trovo una traccia ematica e sulla stessa effettuo tutti i passaggi discussi fino a questo momento fino alla definizione del profilo genetico e, in un secondo momento, sottopongo un sospettato ad un prelievo di sangue, di capelli o di saliva e ottengo lo stesso profilo, posso concludere che la traccia ematica appartiene certamente al sospettato.
Quindi:
– Fratelli: condividono il 50% del patrimonio genetico e la divisione è RANDOM;
– Padre-figlio: condividono il 50% di patrimonio genetico ma per ogni regione studiata il padre deve condividere con il figlio un allele.
Con i sistemi attualmente a nostra disposizione possiamo affermare che ogni profilo genetico è unico; detto ciò possiamo stabilire che se troviamo il profilo di un soggetto su un determinato campione, quest’ultimo dovrà certamente risponderne.
Lo studio delle relazioni parentali, oltre ad accertare la presunta paternità, può essere utilizzato nelle indagini quando si rinvengono, ad esempio, resti ossei. In questi casi oltre allo studio degli autosomi si può ricorrere allo studio delle regioni dell’X e dell’Y. Il padre nei confronti del figlio deve necessariamente condividere (oltre ad 1 allele per ogni regione in esame) l’aplotipo Y, così come la madre nei confronti del figlio deve condividere l’aplotipo X.
Il DNA mitocondriale non viene utilizzato in genetica forense, se non in un numero limitatissimo di casi, perché essendo contenuto solo nella coda degli spermatozoi viene perso al momento della fecondazione e, di conseguenza, ereditato solo per via matrilineare. L’utilizzo del DNA mitocondriale trova la sua applicazione quando, ad esempio, non si riesce ad ottenere un profilo (profilo autosomico, quindi nucleare).
Nel momento in cui lo spermatozoo feconda la cellula uovo abbiamo il ripristino della diploidia (la condizione di aploidia dei gameti è necessaria per due motivi fondamentali: per la variabilità genetica e per impedire situazioni di aneuploidia nelle generazioni successive); per ogni cellula abbiamo 22 coppie di autosomi più 2 cromosomi sessuali.
Come si legge un profilo genetico? Ogni regione rappresenta una regione genetica studiata, a destra abbiamo gli alleli per locus, ovviamente 2 perché diploidi. Tali alleli possono essere identici (omozigosi) o diversi (eterozigosi). Sulla scena del crimine si raccolgono cellule da cui si estrae il DNA del colpevole e/o dell’offeso; se io ottengo un profilo genetico e non ho un profilo di riferimento con cui compararlo questo mi sarà del tutto inutile.
Il DNA va estratto dal campione, amplificato e poi è necessaria la corsa in elettroforesi capillare in uno strumento detto sequenziatore. Il DNA può essere estratto da qualunque distretto corporeo in quanto ogni essere umano deriva da un’unica cellula: quindi che si tratti di un capello, di saliva, di un globulo bianco il profilo che ottengo sarà lo stesso. Secondo alcuni studi sulla frequenza mutazionale, possiamo dire che queste regioni mutano con una frequenza di 1 ogni 1000 meiosi. Tornando a quanto detto prima, queste regioni mutano proprio perché essendo introniche non sono soggette ad alcuna selezione.
Altro concetto: se devo ottenere un profilo genetico post-mortem, il sangue deve essere prelevato direttamente dalle camere cardiache (sia che si tratti di un adulto, che di un feto); nel vivente basta un prelievo di saliva (o sangue periferico, peli, ecc.).
Inizialmente i loci STR studiati in America erano 13, adesso siamo arrivati a multiplex perché si è visto che nelle popolazioni confinate il rischio di sovrapposizioni casuali era alto. A cosa serviva tutto questo al CODIS? Serviva a schedare coloro i quali avevano commesso dei crimini, quindi i profili di migliaia di persone confinate in un unico grande scatolone rischiavano di condividere determinate regioni con una probabilità molto superiore alla popolazione generale. Su 13 loci poteva capitare che 2-3 profili potessero sovrapporsi e per questo motivo sono state dapprima introdotte ulteriori 2 regioni, attualmente disponiamo di circa 25 loci STR studiati che ci consentono un certo livello di sicurezza.
Oltre a tutto ciò siamo in grado di studiare la X e l’Y: siccome la X e l’Y non ricombinano, possiamo dire che la Y si trasferisce tale e quale alle generazioni successive (ad esempio, in un piccolissimo centro abitativo potrebbero avere tutti la stessa Y). Per quanto riguarda la X le cose sono più complesse perché la madre ne ha due e il padre 1, quindi se io dovessi fare una comparazione padre figlia sarebbe più che utile, infatti noi possiamo parlare di aplotipo paterno, anche se non è del tutto corretto.
Noi siamo partiti dal presupposto che i geni in esame segreghino in modo indipendente, poiché situati su cromosomi diversi; se invece i geni stanno tutti sullo stesso cromosoma cominciamo ad avere alcune difficoltà ad accettare che per alcuni di essi non si possa avere un linkage disequilibrium. A tal proposito sono state studiate 12 regioni del cromosoma X raggruppate in 4 aplotipi 3×3, quindi quando confrontiamo i profili genetici, per esempio della madre e della figlia, non ragioneremo più nell’ottica del singolo allele ma in termini di superalleli, la frequenza dei quali è veramente minima. Ciò significa che anche nello studio delle relazioni madre-figlia o madre-zia si riesce, ricostruendo gli aplotipi materni, ad avere delle informazioni notevoli.