Fenomeni Infiammatori
Febbre:è la dimostrazione che in qualche modo l’omeostasi termica dell’organismo è stata alterata. La differenza tra la febbre e un’ipertermia fisiologica (es. nell’esercizio fisico) è che in quest’ultimo caso l’organismo mette in moto tutta una serie di meccanismi per disperdere il calore. Nel caso del fenomeno febbrile invece questi meccanismi non sono messi in atto: anzi, il pallore tipico della febbre, è legato al fatto che si ha una vasocostrizione cutanea proprio per evitare una termodispersione.
Febbre:è la dimostrazione che in qualche modo l’omeostasi termica dell’organismo è stata alterata. La differenza tra la febbre e un’ipertermia fisiologica (es. nell’esercizio fisico) è che in quest’ultimo caso l’organismo mette in moto tutta una serie di meccanismi per disperdere il calore. Nel caso del fenomeno febbrile invece questi meccanismi non sono messi in atto: anzi, il pallore tipico della febbre, è legato al fatto che si ha una vasocostrizione cutanea proprio per evitare una termodispersione.
I recettori termici della cute sono caratterizzati dalla presenza di canali ionici la cui attività è strettamente dipendente dalla temperatura. Anche neuroni del centro termoregolatore ipotalamico hanno dei meccanismi per misurare la temperatura dei capillari che li perfondono. Essi sono sensibili a variazioni dell’ordine dei decimi di grado. Ci sono sia neuroni sensibili al caldo che neuroni sensibili al freddo.
Il centro termoregolatore ha poi connessioni con molte altre zone del cervello: la modificazione della frequenza di scarica dei termoregolatori non influisce solo sul sistema para/ortosimpatico ma anche sulla corteccia motoria per innescare il brivido (contrazione involontaria della muscolatura volontaria col fine di produrre calore).
Nell’infiammazione sono prodotti pirogeni endogeni, i quali sono in grado di ritarare il punto di lavoro del centro termoregolatore. Non si sa bene come questo precesso avvenga: in parte ciò è sicuramente dovuto al fatto che si verifica una produzione locale, da parte probabilmente delle cellule endoteliali poste in vicinanza dei centri termoregolatori in risposta ai pirogeni, di prodotti del metabolismo dell’acido arachidonico via ciclossigenasi (ciò giustifica l’azione antipiretica dell’aspirina). La produzione deve necessariamente essere locale perché le prostaglandine prodotte in periferia sono immediatamente inattivate e non potrebbero raggiungere i centri ipotalamici. Come poi i metaboliti dell’acido arachidonico riescano a modificare la frequenza di scarica dei neuroni ipotalamici rimane da stabilire.
Nella defervescenza l’ipotalamo torna ad essere tarato sui 37 °C e, in seguito alla messa in atto dei meccanismi di termodispersione, la febbre cala.
Le connessioni del centro termoregolatore sono così complesse che la febbre modifica anche atteggiamenti comportamentali.
Dopo 100 anni di terapia antipiretica si è visto che combattere la febbre non porta alcuno svantaggio all’organismo nel combattere le infezioni. Probabilmente la febbre è stata conservata nella filogenesi perché essa esalta molte funzioni, come la fagocitosi.
Leucocitosi:l’infiammazione porta ad una leucocitosi che costituisce il maggiore tra gli effetti metabolici ed endocrini.
A seconda del tipo di leucocitosi si può indirizzare la diagnosi: una neutrofilia porta a propendere per un’infezione acuta di tipo batterico, una linfocitosi per una forma virale o un’infiammazione cronica, una eosinofilia per una parassitosi o una forma allergica.
La prima diagnosi differenziale da fare, quando si parla di linfocitosi, è capire se si tratta di una linfocitosi infiammatoria o leucemica anche se non tutte le leucemie si accompagnano a leucocitosi perché alcune forme sono caratterizzate da una crescita a livello midollare. Ciò causa linfocitopenia dal momento che le cellule staminali sane sono distrutte da quelle neoplastiche.
La differenza è che in una leucemia aumenta solo ed esclusivamente una categoria di cellule mentre, di solito, in una forma infiammatoria la linfocitosi si accompagna tipicamente a monocitosi. Inoltre la presenza di elementi immaturi nel sangue è un indice di patologia neoplastica.
La semplice infiammazione non giustifica la leucocitosi: casomai dovrebbe verificarsi il contrario. Tuttavia dal sito infiammatorio vengono prodotte citochine (CSF: colony stimulating factor) che giungono nel midollo osseo e favoriscono da una parte il rilascio di leucociti nel sangue e dall’altra la produzione di cellule mature.
L’intensità della leucocitosi è correlata all’intensità dello stimolo infiammatorio: tanto più ampio è il fenomeno infiammatorio tanto maggiore è la produzione di citochine. Alcune citochine non agiscono solo sul midollo osseo ma anche a livello delle stazioni linfatiche periferiche.
Queste citochine sono l’IL1, l’IL2 (classica IL che induce proliferazione e maturazione dei linfociti T), IL5, IL7, IL3 (è un fattore di crescita aspecifico), GSF (fattore di crescita dei granulociti) e MSF (fattore di crescita dei monociti).
Queste ultime tre citochine sono usati come coadiuvanti nella chemoterapia per ovviare alla leucopenia che si verifica nei soggetti trattati dal momento che i precursori delle cellule bianche sono molto sensibili a qualsiasi fattore antimitotico, ivi comprese le radiazioni.
Altri effetti generali:
· Produzione di proteine di fase acuta come la proteina C-reattiva e le serum amiloidi A e P. Queste proteine sono prodotte dal fegato in risposta a citochine come l’IL-1. Le proteine di fase acuta possono portare a conseguenze molto gravi (amiloidosi);
· Aumento della produzione di glicocorticoidi;
· Aumento delle γ-globuline se il fenomeno infiammatorio comporta l’attivazione dei linfociti.