Nel corso degli ultimi decenni è stato meglio definito il ruolo causale dell’ipercolesterolemia nella patogenesi delle lesioni aterosclerotiche e delle loro manifestazioni cliniche, specie nella cardiopatia ischemica. La correlazione tra livelli plasmatici di colesterolo LDL e rischio cardiovascolare è stata dimostrata in modo inequivocabile da numerosi studi, sia osservazionali che di intervento.
Questi ultimi dimostrano l’esistenza di un rapporto dose-risposta tra la riduzione dei livelli di colesterolemia e riduzione del rischio cardiovascolare ed in particolare hanno identificato il colesterolo LDL come fattore causale dell’ateroclerosi. Il colesterolo plasmatico è, come sappiamo, un fattore di rischio parzialmente modificabile e si è visto che una riduzione del 10% del colesterolo totale è seguita da una riduzione del 25% dell’incidenza di coronaropatia a 5 anni e una diminuizione di 40 mg/dl del colesterolo LDL si accompagna ad una riduzione del 20% di eventi coronarici.
Il rischio associato al C-LDL viene aumentato da altri fattori di rischio: bassi livelli plasmatici di C-HDL, fumo, ipertensione arteriosa, diabete. Nella gestione del paziente dislipidemico la riduzione delle C-LDL è quindi l’obiettivo primario per la prevenzione delle coronaropatie. Secondo le linee guida della consensus, il colesterolo plasmatico totale dovrebbe essere <5 mmol/L (190 mg/dl) e il colesterolo LDL <3 mmol/L (115 mg/dl). Nei pazienti ad alto rischio per patologie cardiovascolari o con malattia cardiovascolare nota o con diabete i valori ottimali devono essere inferiori ed in particolare: colesterolo totale <4,5 mmol/L (175 mg/dl) o, quando fattibile, <4 mmol/L (155mg/dl), colesterolo LDL <2,5 mmol/L (100 mg/dl) o quando fattibile <2mmol/L (80 mg/dl).
Vale comunque il paradigma “lower is better”, cioè non esiste un valore soglia tra il valore della colesterolemia totale e il rischio di malattia coronarica, per cui minore è il valore del colesterolo totale e di quello LDL, maggiore è il beneficio per il paziente. Oltre alla valutazione del colesterolo-LDL, riveste molta importanza anche la valutazione dei valori di colesteroloHDL e dei valori di trigliceridemia. Vengono considerati marcatori di rischio cardiovascolare valori di colesterolo HDL <1.0 mmol/L (40 mg/dl) negli uomini e <1.2 mmol/L (45 mg/dl) nelle donne e valori di trigliceridi a digiuno >1.7 mmol/L (150 mg/dl).
Come sappiamo, un basso valore di colesterolo-HDL (<40 mg/dl) costituisce un fattore fortemente predittivo di coronaropatia, pur non essendoci, allo stato attuale, dati di trial che consentano di individuare un livello di colesterolo HDL da raggiungere. Per quel che riguarda la trigliceridemia le linee Guida NCEP ATP III, pongono come valori di riferimento quelli qui sottoelencati:
– normali: <150 mg/dl (<1,7 mmol/l).
– ai limiti superiori della norma: 150-199 mg/dl (1,7-2,2 mmol/l).
– elevati: 200-499 mg/dl (2,2-5,6 mmol/l).
– molto elevati: _500 mg/dl (_5,6 mmol/l).
Oltre alla valutazione del profilo lipidico, riveste molta importanza nella valutazione del paziente, un esame semplice e poco costoso come il doppler arterioso dei Tronchi Sovra-aortici (TSA) che ci mostra l’eventuale presenza di placche aterosclerotiche e che ci fornisce una fotografia di quella che è la situazione vascolare del paziente. bisogna come sempre contestualizzare il profilo lipidico del paziente con quelli che sono gli altri fattori di rischio e con quello che è lo stile di vita dello stesso. Se il rischio di morte cardiovascolare a 10 anni è <5% vanno dati consigli professionali sulla dieta, sull’attività fisica regolare e sulla eventuale cessazione del fumo e valutare nuovamente il rischio di lì a 5 anni. Se il rischio di morte cardiovascolare a 10 anni è >5% deve essere valutato il profilo lipidico in toto, e devono essere intensificati i consigli sullo stile di vita, in particolare quelli riguardanti l’alimentazione e l’attività fisica.
Se nonostante questi accorgimenti, la stima del rischio globale di MCV rimane >5% deve essere presa in considerazione la terapia ipolipemizzante. Va ribadito il concetto per cui i benefici di tale terapia risultano tanto maggiori quanto maggiore è il rischio di MCV. In pazienti diabetici o con pregressa MCV è necessario intervenire in maniera più precoce con la terapia ipolipemizzante. Un capitolo a parte è rappresentato da pazienti con ipercolesterolemia familiare ove, indipendentemente dal rischio globale, innanzi a valori elevati di colesterolemia totale, va subito iniziata una terapia farmacologica.
Nel momento in cui risulta necessario intraprendere una terapia farmacologica, i farmaci a disposizione del clinico sono fondamentalmente:
– Inibitori della 3-idrossi-3-metil-glutarilCoAreduttasi (Statine) che non solo riducono l’iperlipidemia ma anche gli eventi cardiovascolari e la mortalità; inoltre, a dosi elevate sembrano rallentare la progressione dell’aterosclerosi e indurne una regressione. Ricordiamo che la terapia con tali farmaci va interrotta davanti ad una disfunzione epatica, ad eventi di rabdomiolisi e nel caso di intensi dolori muscolari.
– Inibitori selettivi dell’assorbimento del colesterolo (Ezetimibe) in associazione alle statine nel momento in cui l’utilizzo di queste da sole non comporta gli effetti sperati.
– Omega 3 rivestono grande importanza nei pazienti con ipertrigliceridemia e risultano particolarmente indicati in pazienti con pregressa cardiopatia infartuale in quanto alcuni studi hanno mostrato una riduzione della mortalità in questo sottogruppo di pazienti.