Per malattie trasmesse dagli alimenti si intendono tutte quelle patologie che possono essere legate alla presenza di un contaminante sia di natura chimica, ma anche di natura fisica, oltre che biologica, a livello dell’alimento. Nella maggior parte dei casi il rischio legato agli alimenti è più la conseguenza di una contaminazione di tipo chimico o biologico, piuttosto che di natura fisica, perché in quest’ultimo caso il fattore di rischio è facilmente riconoscibile e quindi si può rimuovere. Può essere ad esempio la presenza di un frammento di legno in un alimento di origine vegetale.
Quindi le malattie a trasmissione alimentari sono costantemente presenti a livello internazionale e si manifestano di volta in volta con caratteristiche e modalità differenti, per cui il livello di attenzione non deve mai venir meno.
Quali sono i contaminanti?
Ci sono tre categorie principali:
1. contaminanti chimici (che possono contaminare l’alimento nella fase di produzione, come i pesticidi usati nelle coltivazioni o gli antibiotici usati spesso in passato come promotori di crescita negli animali da allevamento);
2. contaminanti fisici (corpi estranei che si possono trovare nell’alimento: pezzi di vetro, plastica, pietre, legno, capelli, peli di animale. Spesso sono la conseguenza dello scarso rispetto delle principali misure igieniche durante la preparazione dell’alimento).
3. contaminanti biologici (che rappresentano la percentuale più grande dei casi di malattie trasmesse da alimenti).
Si distinguono una contaminazione primaria ed una contaminazione secondaria.
– La contaminazione primaria si verifica durante la fase di produzione dell’alimento. È il caso dei pesticidi usati nelle colture, oppure i residui di farmaci veterinari, usati sia nel trattamento, sia nella prevenzione delle patologie a carico degli animali.
– La contaminazione secondaria, invece, si ha per esempio nella fase di stoccaggio, ossia nella fase di conservazione in depositi dell’alimento. In questo caso potremmo avere la contaminazione da detergenti o disinfettanti. Se poggiamo l’alimento su superfici che hanno residui di questi prodotti, possiamo avere una contaminazione. Un altro caso di contaminazione secondaria si può verificare anche durante la fase di preparazione dell’alimento per la necessità di aggiungere additivi. Queste sostanze vengono usate per allungare i tempi di conservazione o per migliorare caratteristiche quali il colore, l’odore o il sapore dell’alimento. Se però le concentrazioni delle sostanze usate superano una soglia critica, o se un soggetto assume eccessive quantità di cibo arricchito con additivi, allora possiamo avere una contaminazione. Quindi la contaminazione primaria investe la fase di produzione delle materie prime, mentre la contaminazione secondaria si verifica durante la fase di stoccaggio o di preparazione dell’alimento.
CONTAMINAZIONE BIOLOGICA
Sicuramente la contaminazione biologica è la forma maggiormente responsabile di quadri clinici nell’uomo. In questo caso distinguiamo due gruppi fondamentali: le malattie veicolate da alimenti e le vere e proprie tossinfezioni alimentari. Nel primo caso, l’alimento non ha un ruolo nella fase moltiplicativa del microrganismo e non è indispensabile affinché si abbia la trasmissione, è soltanto un veicolo; la malattia, dunque, può essere trasmessa anche con modalità differenti. Nella tossinfezione alimentare, invece, l’alimento rappresenta un passaggio necessario (ad esempio per le condizioni ideali di temperatura, pH e per la quantità di acqua libera presenti); pertanto, consente al microrganismo di moltiplicarsi e raggiungere la carica minima infettante per scatenare il quadro clinico, oppure consente la germinazione dei microrganismi che producono spore ed il conseguente rilascio di tossine nell’alimento. Quindi nelle tossinfezioni l’alimento consente lo svolgimento di una fase vitale del microrganismo, necessaria per determinare il quadro clinico infettivo.
Il problema del rischio biologico, legato alla contaminazione microbica degli alimenti, non è presente soltanto in Paesi con condizioni socio-economiche precarie, ma è presente anche in popolazioni ad alto sviluppo economico. Ovviamente saranno diverse le conseguenze delle malattie, perché in un contesto socio-economico avanzato i quadri clinici correlati potranno essere gestiti più adeguatamente ed andare incontro alla risoluzione. Anche il colera, comunque presente anche da noi, avrà un’evoluzione verso la guarigione, poiché disponiamo degli strumenti adeguati per trattarlo. Le conseguenze delle stesse patologie saranno ben diverse in aree meno sviluppate, dove spesso il colera si traduce nell’exitus del paziente.
Tra i contaminanti biologici annoveriamo batteri, virus e parassiti. Particolarmente importanti sono anche le muffe, i funghi e i lieviti, che possono produrre tossine; pertanto, in questi casi il rischio non è legato all’azione biologica del microrganismo, ma all’azione della sostanza da loro prodotta, rendendo queste situazioni più assimilabili ad una contaminazione di tipo chimico piuttosto che ad una di tipo biologico.
CAMBIAMENTI EPIDEMIOLOGICI NELLE PATOLOGIE A TRASMISSIONE ALIMENTARE
le malattie a trasmissione alimentare, legate all’azione di microrganismi, sono da sempre presenti, anche se con caratteristiche diverse. Per quale motivo il problema è ancora presente e perché si modifica continuamente ? In parte l’aumento riscontrato di queste patologie è legato semplicemente al miglioramento delle procedure diagnostiche, che ci consentono una più facile identificazione nel microrganismo, nell’alimento come nel campione umano. Ma ad influire principalmente nell’aumento e nell’evoluzione di tali malattie sono i processi di globalizzazione, per due ragioni.
– In primo luogo perché ormai è necessario avere produzioni alimentari molto più elevate rispetto al passato e in tempi più brevi. Per raggiungere questo scopo è cambiata la modalità di gestione degli allevamenti e delle coltivazioni. Per esempio, gli animali sono spesso rinchiusi e ammassati in gabbie molto affollate. In tali contesti la trasmissione di un microrganismo, ad esempio per via aerea, è notevolmente facilitata e si ha un maggiore rischio di trasmissione di infezioni da un animale all’altro, per arrivare poi al contagio dell’uomo. Anche le coltivazioni sono concentrate in spazi ristretti e spesso sono poste vicino ad allevamenti per ragioni logistiche; è facile così che le acque reflue provenienti da un allevamento contaminino l’acqua destinata ad irrigare i campi.
– La maggiore circolazione di prodotti alimentari a livello internazionale è il secondo fattore che ha favorito la circolazione dei microrganismi, anche tra aree geografiche estremamente diverse. Ad esempio in passato ci sono state epidemie legate al consumo di mitili crudi, partiti dall’Asia e arrivati fino agli Stati Uniti tramite ad esempio il trasporto via nave. I fenomeni di globalizzazione quindi sono alla base dell’evoluzione epidemiologica di queste malattie, non soltanto in termini numerici, ma anche in termini qualitativi.
Un altro fenomeno che sta caratterizzando negli ultimi anni le malattie a trasmissione alimentare è rappresentato dalle antibiotico-resistenze, aumentate anche grazie al contributo degli alimenti.
Spesso l’impiego intensivo di antibiotici di ultima generazione in ambito ospedaliero è la causa principale dell’insorgenza di questo fenomeno, ma anche il loro utilizzo in comunità e, negli ultimi anni, in ambito veterinario, ha ampliato queste resistenze.
Vediamo la classificazione di queste patologie. Qual è la differenza tra intossicazioni, tossinfezioni ed infezioni alimentari?
L’intossicazione è la condizione nella quale l’alimento ingerito contiene soltanto la tossina che viene prodotta prima dell’ingestione. È l’esempio del botulismo o di alcune intossicazioni stafilococciche.
Nelle tossinfezioni alimentari abbiamo sia la tossina che il microrganismo.
Nelle infezioni, invece, è il microrganismo il responsabile del quadro clinico. In questo caso, si verifica la moltiplicazione del microrganismo nell’ospite colpito, mentre nelle altre due situazioni le tossine vengono prodotte all’esterno per cui la comparsa del quadro clinico è molto più rapida. Nelle infezioni, invece, il quadro clinico compare tardivamente, essendo necessaria la moltiplicazione del patogeno. In realtà molti microrganismi hanno comuni meccanismi patogeni, mentre altri come l’E. Coli presentano ceppi con meccanismi diversi; abbiamo ad esempio l’E. Coli entero-tossigeno, che agisce con la produzione di una tossina, l’E. Coli entero-invasivo, che agisce come un’infezione. Quindi microrganismi della stessa specie possono agire con differenti modalità.
QUADRO CLINICO
La possibilità che dopo l’ingestione di un alimento contaminato si verifichi o meno l’infezione e le modalità con cui il quadro clinico si manifesta sono in realtà legate a diversi fattori. Uno degli elementi più importanti è la dose infettante; alcuni microrganismi possono determinare un quadro clinico con dosi minime, mentre per altri dobbiamo avere cariche infettanti molto elevate. Altro parametro è il periodo di incubazione; se ci troviamo di fronte ad un’intossicazione alimentare, i sintomi compaiono poche ore dopo l’ingestione di un alimento, mentre con un’infezione, ad esempio da salmonellosi, sono necessarie almeno 24-48 ore prima della comparsa del quadro clinico.
Nelle intossicazioni il quadro clinico dipende anche dal tipo di tossina. Quando la patologia è legata all’azione di una tossina, bisogna tenere conto delle caratteristiche di quest’ultima e dell’alimento che viene consumato. Alcune tossine sono termostabili, anche se l’alimento viene sottoposto a riscaldamento, la tossina resta integra e può comunque determinare la comparsa del quadro clinico. Altre tossine invece sono termolabili, con il trattamento termico vengono inattivate o distrutte e non avremo la comparsa dei sintomi. La tossina botulinica, ad esempio, una delle più potenti e letali per l’uomo, può essere inattivata in breve tempo con il riscaldamento dell’alimento. Questa tossina si trova in particolare nei vegetali sott’olio.
Per quanto riguarda la tipologia delle manifestazioni cliniche, vi saranno alcuni microrganismi capaci di determinare solo manifestazioni gastroenteriche (come vomito, nausea e diarrea), altri invece determineranno anche manifestazioni di tipo sistemico. Quindi le conseguenze di una contaminazione alimentare sono legate all’agente patogeno, ma anche alle condizioni dell’ospite ed alla tipologia dell’alimento ingerito.
La sintomatologia nella maggior parte dei casi si manifesta prettamente a livello gastroenterico, ma anche qui i sintomi varieranno in base all’agente responsabile del quadro clinico. Ad esempio, l’infezione da bacillus cereus si manifesta con una gastroenterite che generalmente si risolve entro 24 ore, mentre invece infezioni più gravi, come le salmonellosi, durano per qualche giorno dopo l’ingestione dell’alimento. Nei bambini e negli anziani, quindi nelle età estreme della vita, possono avere un decorso con diarrea profusa e squilibri idroelettrolitici per oltre 7-10 giorni, rendendo necessaria un’adeguata terapia. Sintomi frequenti, come dicevamo, sono la nausea, il vomito e la diarrea. Le età estreme della vita vanno maggiormente incontro a complicanze, perché sono più a rischio di squilibri elettrolitici.
FATTORI CHE INFLUENZANO IL DECORSO CLINICO : Sono i fattori legati all’agente patogeno, fattori legati all’ospite e fattori legati all’alimento contaminato. Per quanto riguarda i fattori legati all’agente patogeno, sicuramente è fondamentale la velocità di moltiplicazione, perché in molti casi gli alimenti che determinano più frequentemente queste patologie sono quelli che non vengono consumati subito dopo la loro preparazione, il rischio è maggiore se l’alimento viene conservato per qualche ora e viene consumato successivamente. Quanto maggiore è la velocità di moltiplicazione del microrganismo, tanto più sarà elevata la probabilità che il patogeno raggiunga la carica infettante in tempi più brevi.
Quindi, con una velocità molto alta, già dopo un’ora avrò la dose infettante capace di scatenare il quadro clinico. Viceversa, con una bassa velocità , sarà meno probabile raggiungere dopo un’ora la dose infettante e riscontrare la sintomatologia. Fattori importanti sono anche la capacità di produrre tossine o spore termoresistenti; ovviamente le spore rappresentano una forma di resistenza del microrganismo in condizioni ambientali sfavorevoli. Se sono spore termoresistenti il processo di cottura non è in grado di distruggerle, ed il microrganismo può causare l’infezione. È importante anche la diffusione del patogeno nell’ambiente: quanto più sarà elevata, tanto maggiori saranno le possibilità di contaminazione.
Di sicuro, i fattori più importanti restano la velocità di moltiplicazione e la capacità di produrre tossine o spore termoresistenti, ma ad essi bisogna aggiungere anche la dose infettante, ovvero la capacità di un microrganismo di indurre la patologia in relazione al numero di particelle microbiche presenti in quell’ospite . La dose minima, quindi, si calcola con il numero minimo di unità che devono essere presenti per causare la comparsa delle manifestazioni cliniche. È una misura correlata alla virulenza, più questa sarà elevata, minore sarà la carica infettante necessaria per la comparsa del quadro clinico. La dose minima è estremamente variabile, mediamente oscilla tra le 105 e le 107 cellule. Questo dato vale per la gran parte dei microrganismi per esempio per il V. Cholerae e per alcuni ceppi di E. Coli, come gli entero-patogeni e gli entero-tossigeni. Ma per microrganismi più virulenti come l’E. Coli entero-invasivo, la Shigella e r la S. Typhii il numero di cellule necessario per causare il quadro clinico è molto più basso : sono sufficienti da 10 a 100 microrganismi.
Nei fattori legati all’ospite ritroviamo condizioni che influenzano ogni patologia, come lo stato immunitario del soggetto, lo stato nutrizionale , la presenza di comorbilità, l’età (quelle estreme sono maggiormente a rischio), la gravidanza (rischio per la madre e per il feto), le condizioni di stress , il lavoro e gli stili di vita.
Per quanto riguarda invece i fattori legati all’alimento contaminato, possiamo considerare la temperatura, l’umidità, il pH, l’ossigeno, la composizione chimica e il tempo trascorso tra la preparazione ed il consumo dell’alimento.
· La temperatura è importante perché come dicevamo in molti casi l’alimento rappresenta una tappa fondamentale nella crescita del microrganismo, perché al suo interno si può moltiplicare. I patogeni che principalmente causano un quadro clinico sono i mesofili, che si moltiplicano in ambienti a temperatura corporea, il range ottimale è di 30-37 °C. Vi sono dei parametri di sicurezza: tenendo conto che i microrganismi crescono in un range tra 5 e 80 °C (anche se mediamente crescono con temperatura a 55 °C), per ridurre al massimo il rischio di infezioni a trasmissione alimentare, gli alimenti devono essere conservati a temperature <4 °C in celle frigorifere o a temperature >63 °C in speciali apparecchiature (come accade ad esempio nei ristoranti). Con questi accorgimenti la replicazione dei mesofili (ma anche degli psicrofili e dei termofili) viene quantomeno rallentata, minimizzando il rischio di raggiungere la carica minima infettante.
· Analogamente, i microrganismi crescono bene con un buon tasso di umidità. Perché il microrganismo possa attuare i processi metabolici e replicativi, è necessaria la presenza di acqua libera, cioè che l’alimento abbia una percentuale elevata di umidità. Gli alimenti freschi hanno la percentuale di umidità più elevata, pertanto possono andare incontro più facilmente ad una contaminazione e raggiungere velocemente la carica infettante.
· il pH. Se l’alimento ha un elevato contenuto acido, sarà meno facile avere la contaminazione dello stesso dal microrganismo. L’olio, per esempio, è un alimento ad elevata acidità ed è per questo che spesso viene usato come metodo di conservazione, proprio perché ha un pH molto basso e ostacola la replicazione microbica. Gli alimenti di origine vegetale hanno un pH acido, mentre quelli di origine animale hanno un pH più vicino al valore neutro. Questi ultimi, quindi, sono più facilmente contaminati ed il microrganismo si replica più velocemente. Un’eccezione è la salmonella, che cresce bene in ambiente acido.
· l’ossigeno, cioè se l’alimento è conservato sottovuoto o meno, è bene ricordare che vi sono microrganismi aerobi obbligati, altri anaerobi obbligati ed altri che sono facoltativi. In effetti questo è un parametro più a carico del microrganismo che dell’alimento. Nella maggior parte dei casi i contaminanti sono patogeni aerobi.
· la composizione chimica dell’alimento. Quanto più questo è ricco e complesso, con abbondanza di carboidrati e proteine, tanto più i microrganismi avranno un substrato che ne consentirà la moltiplicazione ed il raggiungimento della carica infettante. Quindi alimenti più ricchi di carboidrati, anche semplici, e di proteine, come accade ad esempio nelle creme, favoriscono la replicazione del patogeno. I vegetali da questo punto di vista sono meno “appetibili”, ma possono rappresentare un rischio quando sono consumati crudi o non vengono sottoposti ad un adeguato lavaggio. Può invece ridurre il rischio di contaminazione la presenza di sostanze inibitrici, come ad esempio gli additivi. Questi vengono usati per inibire la replicazione dei microrganismi, anche se cambiano la composizione chimica degli alimenti.
· Altro elemento è il tempo trascorso tra preparazione e consumo dell’alimento. In questo ambito bisogna considerare la temperatura: se il microrganismo si trova alla temperatura ottimale la velocità di crescita sarà maggiore, e viceversa. È importante anche sapere che il microrganismo ha una curva di crescita ad andamento logaritmico. Inizialmente, la replicazione procederà molto lentamente, ma una volta raggiunto un certo numero di unità, ciascuna di queste andrà incontro a più rapidi processi di moltiplicazione. A temperatura ideale, si avrà nella prima ora una crescita più lenta, dopodiché la carica microbica aumenterà vertiginosamente nell’arco di pochi minuti. Quindi, il tempo che intercorre tra preparazione e consumo dell’alimento è importante sia in relazione alle caratteristiche del microrganismo (tempi di crescita diversi), sia in relazione alle temperature con cui conservo l’alimento. Con temperature <4 °C o >63 °C, di cui parlavo prima, posso aumentare la durata della fase LAG (la fase di crescita lenta del microrganismo), mantenere bassa la carica infettiva e ritardare l’ingresso nella fase LOG (la fase di crescita logaritmica). Inoltre, a temperature non ottimali, sarà più bassa anche la concentrazione massima raggiungibile dal patogeno.
FATTORI CHE CONTRIBUISCONO A DETERMINARE IL RISCHIO BIOLOGICO DI TOSSINFEZIONI:
– non corretto utilizzo della temperatura. Generalmente il trattamento termico consente la distruzione di microrganismi ed eventuali spore o tossine presenti negli alimenti. Il non corretto uso della temperatura può essere legato ad una cottura inadeguata, ad esempio una cottura troppo breve che non ha raggiunto la parte centrale dell’alimento e non ne ha distrutto i microrganismi. Possiamo considerare anche la possibilità che l’alimento non sia stato conservato a temperature idonee dopo la preparazione. Per esempio, prepariamo una crema seguendo le precauzioni igieniche necessarie, ma successivamente la tocchiamo con un cucchiaio, con cui in precedenza abbiamo toccato un alimento crudo; abbiamo una contaminazione e se lasciamo quella crema a temperatura ambiente per diverse ore, il patogeno avrà tempo per replicarsi.
– Manipolazione inadeguata. In moltissimi casi le malattie trasmesse dagli alimenti sono causate da una scorretta manipolazione degli stessi. Un esempio è il consumo di alimenti crudi manipolati da operatori infetti; se io sono portatore di S. Aureus nelle vie respiratorie e starnutisco sopra l’alimento, che rimane per un po’ a temperatura ambiente prima di essere consumato, lo stafilococco ha il tempo necessario per raggiungere la carica infettante. Altro esempio sono le scarse norme igieniche personali: se un soggetto va in bagno, non si lava le mani e tocca l’alimento ne causa la contaminazione. La cross-contaminazione è quanto vi dicevo prima, si verifica quando uso gli stessi utensili per maneggiare più alimenti. Quelli che verranno cotti saranno bonificati, quelli che verranno consumati crudi no!
– ambiente inadeguato, valutiamo la presenza di condizioni igieniche insufficienti (considerando le superfici, le attrezzature e gli operatori) o la presenza di strutture inadeguate.
– abitudini alimentari, con il consumo di alimenti crudi o l’uso di ingredienti crudi nella preparazione.
In sintesi, il fattore al quale dobbiamo prestare più attenzione nella prevenzione è rappresentato dal rispetto delle corrette norme igieniche, sia nella preparazione che nella conservazione dell’alimento.