Le procedure di stadiazione del carcinoma della prostata sono rappresentate in parte dalle stesse indagini che hanno portato alla diagnosi bioptica della malattia (i.e. ecografia transrettale e PSA) e in parte dalle tecniche di immagine tradizionali, come l’esame radiologico del torace, la TC o RM dell’addome e la scintigrafia ossea, attualmente il metodo più sensibile per la diagnosi di metastasi ossee.
È di grande importanza stabilire una stratificazione dei fattori di rischio, basata sulla stadiazione clinica, allo scopo di fornire l’indicazione terapeutica più appropriata per ciascun paziente, specialmente nella malattia non-metastatica. Gli strumenti clinici, sierologici e patologici come l’esplorazione rettale, il PSA, il Gleason score, il numero di campioni positivi e la percentuale di tessuto neoplastico per ciascun campione si mostrano tutti utili nel tentativo di dare un più chiaro inquadramento della malattia. Il valore predittivo di questi fattori ha portato, iniziando con gli studi di Alan Partin18 nel 1997, alla diffusione di sistemi combinati di analisi dei fattori predittivi, desunti dalla valutazione retrospettiva di un largo numero di studi di casi.
Questi sistemi integrati (basati su PSA, grado di Gleason primario e secondario, ed esplorazione rettale), sono comunemente usati per prendere decisioni efficaci nella terapia del carcinoma della prostata non-metastatico. I nomogrammi danno un range di probabilità che una malattia in un certo stadio clinico possa essere, alla diagnosi patologica definitiva, confinata all’organo o extracapsulare, con l’eventuale coinvolgimento delle vescichette seminali o dei linfonodi.
L’informazione che possiamo ricavare dai nomogrammi (specifico per ciascun trattamento previsto: chirurgia, radioterapia o brachiterapia), fornendoci una predizione dello stadio patologico, può essere usata anche per predire la sopravvivenza globale dei pazienti a 5 anni (sopravvivenza libera da malattia, sopravvivenza libera da recidiva clinica e biochimica). Tuttavia, tali tipi di nomogrammi, tra cui il più utilizzato è quello proposto da Kattan, non predicono la sopravvivenza cancro-specifica a lungo termine o lo sviluppo di metastasi.
Strategie terapeutiche: Allo stato non è stato identificato un trattamento con una dimostrata maggiore capacità di controllo della neoplasia. Al paziente deve essere pertanto offerta più di un’opportunità di cura in un contesto specialistico multi-disciplinare. La scelta del trattamento ottimale deve in ogni caso prendere in considerazione la classe di rischio (definita sulla base del PSA iniziale, dello stadio e grado della malattia), l’età del paziente e l’aspettativa di vita stimabile (< o > di 10 anni) e gli eventuali elementi di comorbidità. Nel caso di pazienti candidati al trattamento della malattia locoregionale e con aspettativa di vita >10 anni le opzioni di trattamento ritenute preferenziali sono la prostatectomia e la RT radicale.
I Ricercatori dello Scandinavian Prostate Cancer Study19 hanno riportato i dati a 10 anni di uno studio che ha confrontato la prostatectomia radicale con l’attesa vigile nel trattamento del tumore alla prostata in fase precoce. Dall’ottobre 1989 a febbraio 1999, 695 uomini con carcinoma alla prostata in fase precoce, età media 64,7 anni, sono stati assegnati in modo random a prostatectomia radicale (347 pazienti) o a vigile attesa (348 pazienti). Durante una media di 8,2 anni di follow-up, 83 uomini nel gruppo chirurgia e 106 nel gruppo vigile attesa sono deceduti.
Nell’8,6% dei pazienti sottoposti ad intervento chirurgico e nel 14,4% di quelli assegnati alla vigile attesa, la morte aveva come causa il tumore alla prostata. L’incidenza di morte per tumore alla prostata è risultata aumentata nel corso degli anni con un incremento di 2 punti percentuali a 5 anni e di 5,3 punti dopo 10 anni. Per le metastasi a distanza, l’aumento corrispondente è stato di 1,7 a 10,2 punti percentuali mentre per la progressione locale l’aumento è stato da 19,1 a 25,1 punti percentuali.
I dati di questo studio indicano che la prostatectomia radicale riduce la mortalità associata al tumore, la mortalità generale ed il rischio di metastasi e di progressione locale. La riduzione del rischio di morte a 10 anni è tuttavia modesta per cui quindi l’individuazione dell’intervento adatto da suggerire al paziente resta un compito difficile, anche se l’aver individuato che l’intervento radicale riduce la crescita del tumore e il rischio di metastasi può fornire indicazioni utili a guidare la scelta terapeutica. Pertanto, l’atteggiamento osservazionale non può più essere offerto in modo indiscriminato a tutti i pazienti con malattia prostatica in fase iniziale ed inoltre deve essere applicato secondo due differenti concezioni: la sorveglianza attiva e la vigile attesa (Watchful Waiting – WW).
Il programma di sorveglianza attiva ha la finalità di discriminare i pazienti con malattia clinicamente significativa da quelli con malattia indolente, in modo da avviare solo i primi precocemente ad un trattamento con intento curativo. Fanno parte di questo gruppo i pazienti con malattia a rischio particolarmente basso, in ogni modo suscettibile di trattamento radicale, in buone condizioni di salute e con un’aspettativa di vita >10 anni. Le modalità di applicazione sono il ricorso frequente alla determinazione del PSA e la ripetizione della biopsia prostatica. Il rilievo di un PSA Doubling Time breve o di un upgrading istologico costituiscono i criteri per ricorrere ad un trattamento attivo. L’intento è quello di sottoporre precocemente i pazienti con malattia biologicamente significativa ad una terapia radicale.
La vigile attesa può essere considerata in pazienti anziani e spesso con comorbidità, con malattia con Gleason Score <7 a qualsiasi stadio e con qualsiasi valore di PSA, con aspettativa di vita < 10 anni. La modalità di applicazione prevede un ricorso blando ai controlli clinici e non richiede la ripetizione della biopsia prostatica. Il criterio per un trattamento attivo è rappresentato dalla progressione sintomatica di malattia. L’intento è quello di procrastinare il trattamento palliativo. Per quanto riguarda il trattamento del carcinoma prostatico localmente avanzato diversi trial hanno confermato l’utilità del trattamento combinato ormonoterapia più radioterapia nel migliorare il controllo locale, la sopravvivenza libera da malattia (Disease Free Survival – DFS) e spesso la sopravvivenza globale (Overall Survival – OS).
In particolare, lo studio di fase III dell’EORTC20 presieduto da Bolla (EORTC 22863) ha confrontato la RTT da sola vs la RTT associata ad un analogo LHRH somministrato per lungo tempo nel trattamento del carcinoma prostatico nelle varie classi di T. La randomizzazione è stata effettuata fra il 1987 e il 1995. I 415 pazienti sono stati stratificati in T1-2 con grado 3 secondo WHO e T3-4 grado 1-3, N0 e N1 (risultati dalla linfadenectomia) M0. Come analogo LHRH è stato somministrato Goserelin sottocutaneo ogni 4 settimane iniziato il primo giorno di RTT e continuato per 3 anni. Il ciproterone acetato (150 mg die, 50 mg x 3) è stato somministrato per 1 mese cominciando una settimana prima dell’iniezione di Goserelin. La stratificazione ha anche compreso i volumi di trattamento, confrontando i volumi estesi vs volumi limitati (pelvi con dose di 50 Gy e successivamente “boost” sulla prostata sino a 70 Gy vs solo prostata/loggia).
I risultati pubblicati 20,21 hanno evidenziato sul campione complessivo differenze statisticamente significative sia nella DFS (74% vs 40%) che nella OS (78% vs 62%) a 5 anni nel trattamento combinato rispetto a quello radioterapico esclusivo. Sul sottogruppo di T3-4 (che rappresentano 86% della casistica), i risultati sono stati ancora migliori sempre a favore del trattamento combinato (DFS 94% vs 78% – OS 78% vs 60%).
Nel protocollo RTOG 85-3122 è stato invece analizzata la soppressione androgenica a scopo adiuvante con Goserelin nei pazienti classificati T1-2 con coinvolgimento linfonodale regionale, T3 N0-N+ o T3 dopo prostatectomia. Il Goserelin veniva iniziato alla fine della radioterapia e continuato sino ad eventuale progressione. A 10 anni la probabilità cumulativa di sopravvivenza globale è risultata pari al 49% vs il 39% (p 0 0.002), il tasso di recidiva locale è stato 23% vs il 38% (P=0.0052), l’incidenza di metastasi a distanza è risultata pari al 24% vs 39% (p<0.001) e, infine, la DFS è stata pari al 16% vs il 22% (p=0.0052) rispettivamente per il braccio con la terapia soppressiva ormonale adiuvante rispetto a quella di controllo con la sola RT. Il vantaggio ottenuto è il controllo locoregionale e nella sopravvivenza con la terapia adiuvante è risultato particolarmente evidente nei pazienti con Gleason score di 7-1023.
In definitiva, la decisione di trattare o non trattare un paziente, come pure il tipo di trattamento da utilizzare, devono essere presi bilanciando i rischi, i benefici e le incertezze: in particolare, l’aspettativa di vita (età e comorbidità), la probabilità di metastasi e di morte cancro-correlata in caso di mancato trattamento, le caratteristiche biologiche del tumore, l’efficacia del trattamento così come i suoi effetti collaterali e la qualità della vita, in funzione dello stato di salute determinato dalla malattia e/o dalla terapia rappresentano i parametri da considerare nell’analisi decisionale.
La discrepanza tra l’aumento grossolano dell’incidenza e la sostanziale stabilità della mortalità che perdura oltre un decennio dopo il picco di incidenza suggerisce che l’anticipazione diagnostica causa del picco di incidenza, sia mediamente di almeno 10 anni. Tenendo conto della aspettativa di vita relativamente limitata in alcune fasce di età oggetto dello screening opportunistico, l’elevata anticipazione diagnostica suggerisce la possibilità che parte dei carcinomi identificati in tal modo siano di fatto “sovradiagnosticati”, “latenti”, dotati cioè di scarsa aggressività e, in assenza di screening, destinata a non manifestarsi clinicamente nella vita.
L’esistenza nell’uomo di una elevata prevalenza di carcinomi “latenti” (oltre il 30% in maschi oltre i 50 anni di età) è ben documentata da studi autoptici di popolazione. Poiché al momento non appare prevedibile una riduzione di incidenza del carcinoma della prostata attraverso una prevenzione primaria efficace, la prevenzione secondaria (screening spontaneo, opportunistico o organizzato che sia) potrebbe rappresentare, assieme alla terapia, il mezzo fondamentale per influire sulla storia naturale della malattia, riducendone la mortalità.
Il test di screening che appare più confacente allo scopo per considerazioni complessive di costi, convenienza e accuratezza diagnostica, è il PSA, un test semplice e relativamente poco costoso, che pure necessita di un rigoroso controllo di qualità della sua determinazione. L’evidenza di riduzione di mortalità suggerita da studi controllati e non controllati di screening è stata oggetto di molte critiche in letteratura (disegno di studio e modalità di valutazione) e non sembra sufficientemente affidabile sul piano scientifico per supportare la raccomandazione dello screening come pratica corrente, soprattutto considerando che altri studi non controllati (ad es. studio comparativo Seattle/Connecticut) non confermano un impatto sulla mortalità.
Peraltro, tutti questi studi e altri studi pilota di screening hanno ampiamente dimostrato che l’anticipazione diagnostica ottenibile è molto elevata (oltre 10 anni) ed è stato stimato che una porzione rilevante dei casi diagnosticati dallo screening non era destinata a manifestarsi clinicamente nella vita. Una simile sovradiagnosi ha come conseguenza un “sovratrattamento”, essendo a tutt’oggi impossibile distinguere alla diagnosi un carcinoma “latente” da uno potenzialmente letale. Considerando che lo screening basa la sua ipotesi di efficacia sulla intenzione di diagnosi e terapia precoce, a complicare ulteriormente il quadro sono insorte recentemente incertezze anche sulla strategia ottimale da seguire nelle neoplasie iniziali (chirurgia, radioterapia, vigile attesa).
In definitiva, ai pazienti che chiedono di essere sottoposti a screening bisognerebbe fornire informazioni obiettive su vantaggi e svantaggi della diagnosi e terapia precoci; nel caso in cui si decida di eseguire lo screening, l’approccio consigliato è quello di eseguire l’esplorazione rettale in associazione con il dosaggio del PSA, limitando lo screening agli uomini con un’aspettativa di vita superiore a 10 anni. Fino a poco tempo fa non vi erano dati disponibili per stabilire la frequenza dello screening e quali valori soglia del PSA da utilizzare; ma, recentemente, dall’analisi dei dati dello studio PCPT (Prostate Cancer Prevention Trial) è stata stabilita la frequenza temporale con cui gli uomini devono sottoporsi allo screening che deve essere in funzione del valore iniziale del PSA. Intervallo per lo screening: annuale se il PSA è tra 2-4 ng/ml; biennale se il PSA è tra 1-2 ng/ml; triennale se il PSA è <1ng/ml.