La tubercolosi: La prima scoperta certa del Mycobacterium tuberculosis è nei resti di un bisonte di circa 18.000 anni fa. Questo fu certamente causa di malattia tra gli antichi Egizi e le popolazioni pre-Colombiane dell’America Latina. Nelle mummie egizie vi sono i segni sia nello scheletro con alterazioni morfologiche aspecifiche dovute alla tubercolosi sia nell’adesione pleurica. Ippocrate diceva “Nelle persone con la tisi, se l’escreato espulso ha un odore forte quando posto sui carboni e se i capelli cadono, allora il caso è fatale”(medicina greca), invece in Cina i medici empirici formulavano la prognosi palpando il polso dell’arteria omerale. Se il polso era forte e duro, la malattia veniva giudicata incurabile e l’ammalato abbandonato a se stesso. Sia in Francia sia in Inghilterra si credeva che potesse essere guarita con l’imposizione delle mani da parte di persone sacre, i Re. Con il termine “tocco” si intendeva in particolare il tocco della scrofola, con cui i medici designavano l’adenite tubercolare, ossia l’infiammazione delle linfoghiandole causate dai bacilli della tubercolosi. I Re, mediante il semplice tocco delle loro mani, compiuto secondo i riti tradizionali, pretendevano di guarire gli scrofolosi.
La lebbra: Descritta nell’antico testamento, ma non si è sicuri che si tratti realmente di lebbra. Forse è iniziata in India o Africa. Nel libro dei Veda, indiano, sono descritti consigli per la profilassi .In Cina vi sono descrizioni con le tipiche anestesie cutanee. Ippocrate non ne parla. Forse è stata portata in Europa dai soldati di Alessandro Magno di ritorno dall’India. Nel Medioevo dalla chiesa erano considerati esseri impuri e quindi perseguitati. La persecuzione fu ufficialmente autorizzata da Filippo V. Nel XV secolo l’endemia europea ricomparve. Fino al XIX secolo era considerata ereditaria e da punizione divina. La mancanza di reperti forse è dovuta alla mancanza di mummie che non venivano imbalsamate per paura.
Il carbonchio: E’ di certo stato responsabile di varie epidemie nelle sue diverse forme: cutanea,inalatoria e per ingestione. E’ stato forse responsabile della V e VI piaga d’Egitto cioè la malattia del bestiame e le ulcere su animali ed uomini. Nel XVII secolo a.C. il Mar Egeo è stato lo scenario di un evento catastrofico, l’eruzione vulcanica dell’isola di Thera(Santorini). Gli effetti devastanti del cataclisma ricaddero pesantemente sull’Egitto: l’oscuramento dei cieli,le piogge di ceneri vulcaniche terrorizzarono gli egizi, che lessero in tutto ciò una punizione divina. Le polveri dell’eruzione altamente velenose, assieme alle varie tonnellate di ossidi di ferro, una volta precipitati al suolo e disciolte nelle acque del Nilo, non potevano che fare stragi immediate di pesci,colorando contemporaneamente l’acqua di ruggine.
Quando si schiusero le uova delle rane, nelle acque già ripulite dalla corrente, i girini, non essendoci più pesci predatori, furono liberi di arrivare a maturazione diventando rane adulte, invadendo tutte le terre circostanti, come fedelmente riportato dalla Bibbia. L’invasione, inoltre, di mosconi, di zanzare e cavallette, non è altro che la logica conseguenza di questo disastro ambientale e biologico. La Bibbia parla di ulcere che colpirono le persone e di moria di bestiame: quando esplose il vulcano centinaia di persone soffrirono per eritemi e ulcerazione dovute al contatto con le polveri acide prodotte, mentre una gran quantità di bestiame fu trovata morta a causa delle polveri tossiche inalate. I silos contenenti il grano potrebbero essere stati contaminati con aflatossine. Era però tradizione fra gli egizi che i figli primogeniti ricevessero una razione di cibo maggiore rispetto agli altri nati successivamente; ecco spiegato perchè solo loro morivano.
Mentre gli Ebrei non potevano mangiare il grano e quindi i loro primogeniti erano salvi inoltre le polveri non arrivarono sopra il delta del Nilo,quindi tutti gli ebrei si salvarono. Virgilio parla di come la malattia colpisca sia gli animali domestici che quelli selvatici, inclusi gli animali marini e i serpenti. E’ descrisse il contagio dei pastori da parte della lana delle pecore. Livio riferisce di una “pestilenza” che aveva colpito il bestiame e poi l’uomo, con altissima mortalità in 7 giorni. Oggi sappiamo bene che il motivo principale di queste epidemie erano gli assedi, il sovra affollamento e i deficit alimentari e igienici.
La peste di Atene: descritta da Tucilide e da Tito Lucrezio: dapprima avevano il capo in fiamme per il calore e soffusi luccichìo ambedue gli occhi. La gola,all’interno nera, sudava sangue, e occluso dalle ulcere il passaggio della voce,la lingua, stillava gocce di sangue. Il fiato che usciva dalla bocca spargeva un puzzo ributtante. la mente sconvolta, le ciglia aggrondate, il viso stravolto, le orecchie, tormentate e piene di ronzii, il respiro frequente o grosso,una rauca tosse. Non cessavano di contrarsi i nervi nelle mani e di tremare gli arti, e di montare su dai piedi il freddo,incavati gli occhi, cave le tempie, gelida e dura la pelle nel volto, cascante la bocca aperta. All’8° o 9° giorno morivano.
Il tifo e la dissenteria:Nella guerra dei 100 anni, Enrico V fu colpito da dissenteria e morì col 15% del suo esercito. I rimedi erano mirra, aglio,oppio, uva passa,orzo, maggiorana, latte medicato.
Il colera: Malattia già descritta da Ippocrate e da Galeno. Essi avevano descritto un colera secco con formazione di gas e uno umido con gravi scariche diarroiche. Si pose poi in Europa in rapporto con l’ingestione di carne di maiale, caffè, funghi, pesche. Per quanto riguarda la diagnosi differenziale nelle enteriti, la pelle non era così secca e disidratata e c’era febbre. L’avvelenamento da piombo si presentava con vomito e stitichezza e non diarrea. All’autopsia si vedevano vasi ingorgati di sangue e fegato nero ingrandito. John Snow deve la sua attuale notorietà per aver studiato la diffusione dell’epidemia di colera del 1854 a Soho ipotizzando la sua diffusione a causa di una pompa di distribuzione dell’acqua a Broad Street. Durante la sua ricerca utilizzò una piantina di Londra. Questo metodo gli permise di notare che i casi si concentravano attorno ad una pompa dell’acqua nel distretto di Soho. Bloccando il funzionamento della pompa riuscì a fermare il diffondersi della malattia.
Il vaiolo:Coincise con il periodo in cui visse Galeno, per cui è chiamata “peste di Galeno”o“Aureliana”,in relazione a Marco Aurelio. Essa durò circa 18 anni. Il termine pestilenza, definiva episodi epidemici che per la loro qualità e conseguenze, lasciavano un segno nella storia, sconvolgendo la società dell’epoca. Secondo il biografo di Lucio Vero, la pestilenza “si sviluppò nel tempio di Apollo perché un soldato romano aprì una cassetta d’oro da cui si liberò un vapore pestilenziale che poi si diffuse”.
Durante un’epidemia di vaiolo nel 1718, lady Mary Wortley Montague, moglie dell’ambasciatore inglese presso il sultano turco a Istanbul, notò come le guaritrici greche insufflassero le croste del vaiolo nel naso di persone sane, che non contraevano così la malattia in forma grave. Studiò e fece conoscere quindi questa tecnica di prevenzione all’Inghilterra e agli altri paesi europei. Nel 1700 era già noto che le persone che riuscivano a sopravvivere al vaiolo presentavano immunità contro epidemie successive, e non erano poche le persone che cercavano di infettarsi volontariamente con materiale pustoloso di persone che avevano contratto il vaiolo in forma lieve. Questa metodica di immunizzazione prendeva il nome di variolazione, da variola, il nome con cui era chiamato il virus del vaiolo, ma non era sicura ed alcune persone “variolate” morirono di vaiolo. Anche il duca Luigi Filippo I di Borbone d’Orléans fece sottoporre i figli alla variolazione contro il parere del re Luigi XV che era contrario. Successivamente Luigi XV morì di vaiolo.
La tularemia: Le descrizioni la fanno somigliare ad una epidemia di peste bubbonica o di tifo. Il fatto che gli ebrei presenti nella popolazione fossero più resistenti, per la loro vicinanza con le pecore, e, quindi, per la venuta in contatto con germi apatogeni, e susseguente stimolazione di immunità cellulare ed umorale, fece sì che gli ebrei fossero internati in campi di lavoro, ritenuti responsabili dell’epidemia.
La malaria: Da un antico testo babilonese: “se la febbre colpisce una persona quindi passa e torna il terzo giorno, con febbre continua e molto sudore, la malattia è lunga e il paziente è debilitato”; “non bisogna andare lungo le rive del fiume se non si vuole essere infettati”.
Non mancano le descrizioni accurate della febbre terzana e quartana (Ippocrate);i siracusani spinsero gli ateniesi di Alcibiade verso le paludi per farli ammalare; inoltre le analisi genetiche sulle mummie hanno provato l‟esistenza della malaria nelle popolazioni che vivevano attorno al Nilo. D’altronde i sintomi, in qualche modo potrebbero confondersi con leishmaniosi. E’ interessante il lavoro svolto sulle mummie di Tutankamon e la sua famiiglia. Sono stati eseguiti test genetici per i geni STEVOR, AMA1 e MSP1 specifici per P. falciparum e sono risultati positivi. Forse la malaria fu la causa della morte di Tutankamon. Nella tomba c’erano, infatti, canne ed una farmacia post mortem. Uno studio condotto da Gino Fornaciari su una vertebra di Francesco I usando come controlli negativi campioni di ossa dell’epoca hanno permesso di identificare la proteina 2 ricca in istidina e la lattico-deidrogenasi del plasmodium falciparum, prova che Francesco I aveva la malaria.
La sifilide: (treponema pallidum) Fece la sua comparsa in Occidente alla fine del 1400 con i soldati mercenari di Carlo VIII di Francia. La sifilide, originariamente chiamata “mal francioso‟ o “mal de Naples‟ sarebbe stata importata dai marinai di Colombo o dalle belle indiane giunte nel Vecchio Continente. Secondo alcuni la sifilide era già presente in Europa, ma confusa con la lebbra dai medici dell’epoca. Secondo altri la causa della malattia è attribuita a cause astrologiche. Ai malati di sifilide veniva applicato il mercurio. Fracastoro scrisse in latino, Syphilis sive de morbo gallico, il più conosciuto poema del tempo sulla sifilide. Vi si narra la storia di Sifilo, giovane pastore che avendo offeso Apollo, viene da questi punito con una terribile malattia che ne deturpa irrimediabilmente la bellezza. I malati famosi sono: Charles Baudelaire Al Capone Napoleone Vincent van Gogh Paul Gauguin Edouard Manet Friedrich Nietzsche Oscar Wilde. In Cina, i preservativi, potrebbero essere state fatte di carta oleata di seta, o di intestini di agnello. In Giappone, erano fatti di guscio di tartaruga o corno di animale. Una leggenda narra che Minosse fosse stato colpito da una maledizione per la quale il suo sperma conteneva serpenti e scorpioni.
Per proteggere il suo partner sessuale da questi animali, Minosse usava una vescica di capra come preservativo. In un trattato, Falloppio ha raccomandato l’uso di un dispositivo che sosteneva di aver inventato: guaine di lino imbevuto di una soluzione chimica e lasciati asciugare prima dell’uso. Il dispositivo aveva le dimensioni per coprire il glande, e si svolgeva con un nastro. Falloppio ha affermato di aver effettuato una prova sperimentale della guaina di lino su 1.100 uomini, e ha riferito che nessuno di loro aveva contratto la terribile malattia. I preservativi durante il Rinascimento erano realizzati con intestino o vesciche di animali. Uno dei primi preservativi, del 1640, è stato rinvenuto in una latrina inglese e si narra sia stato usato dai soldati del re Carlo I, durante la guerra civile.
Il tetano:tossina tetanica,paralisi spastica.
La poliomelite: La poliomielite (dal greco midollo),una volta denominata paralisi infantile, è una malattia virale acuta(picornavirus), altamente contagiosa, con manifestazioni diverse, le più gravi di tipo neurologico irreversibile.
La peste nere: Iniziò al delta del Volga, giungendo fino in Crimea a Coffa, nell’accampamento tartaro. I tartari allora catapultarono i cadaveri degli appestati dentro le mura della città. La propagazione della malattia dipese dal fatto che alcune navi genovesi riuscirono a partire da Coffa ed esportarono purtroppo il morbo a Trebisonda ed a Pera. Quindi si diressero a Messina,dove i messinesi compresero che le navi portavano la morte e le scacciarono, ma oramai era troppo tardi. Le navi che avevano invece raggiunto Venezia, portarono lì il morbo. Scacciate dappertutto, le navi riuscirono ad attraccare a Livorno e poi a Marsiglia, portando appresso la morte. 46 professori universitari convocati da Filippo VI per conoscere le cause della peste decretarono solennemente che essa era dovuta alla congiunzione astrale di Saturno, Giove e Marte nella costellazione dell’Acquario.
Secondo le autorità del mondo antico che seguivano la teoria umoral-patologica, la salute era data dalla corretta mescolanza dei quattro umori: sangue, flemma, bile gialla e bile nera. L’aumento della bile nera determinava il tipo melanconico. Un’eccedenza di sangue indicava il pericolo di putrefazione degli organi interni che rappresentava il vero processo patologico della peste. Questa putrefazione penetrava con l’aria o con il cibo. Erano considerati pericolosi i venti del sud che trasportavano i miasmi delle acque stagnanti. Le esalazioni e anche il respiro dei malati erano considerati molto pericolosi, quindi per ridurre presumibilmente il sangue nocivo si usavano salassi abbondanti . Per allontanare l’aria corrotta, si bruciava legna, si aggiungevano sostanze profumate; gli ammalati si ponevano in alto su soppalchi; l’aria calda, notoriamente ascendente, evitava in tal modo il contagio dei familiari. I santi invocati durante la pestilenza sono San Rocco e San Sebastiano-Antonello da Messina. I più importanti medici durante le peste sono:
Gentile da Foligno: scrisse il “Paradigma del soffio pestifero”; esalazioni velenose sarebbero state risucchiate dal mare e dalla terra verso il cielo, poi, riscaldate, rigettate sulla terra e avrebbe infettato polmoni, cuore ed organi vicini e tramite l’aria espirata, i familiari.
Mercuriale: professore a Padova, suggeriva di stare di buon umore, come medicina contro la peste.
Tommaso del Garbo: consigliava questi rimedi: pane intinto nel vino, triaca (carne di serpente, estratti di vipera e polvere di rospo, si aggiungeva per gradire un po’ di oppio ed il farmaco era bell’ e pronto), chiodi di garofano come disinfettanti.
Giovanni Dandi : Medico del Vescovo di Milano, raccomandava salasso, abluzioni con aceto ed acqua di rose. Suggeriva di evitare sabbie, venti del sud, atti sessuali.