Il termine counseling è nato intorno agli anni ’70 in Inghilterra ed indica un’attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta. È uno strumento di lavoro in ambito psico-sociale che si materializza in un processo di interazione tra due persone, di cui una è sempre in difficoltà, orientato a far prendere coscienza della propria situazione in modo da poterla gestire fino a giungere alla risoluzione della stessa.
Da queste prime note chiave della nuova attività professionale counseling emerge quindi una caratteristica principale: si tratta di un intervento che favorisce il cambiamento e sollecita le risorse del soggetto stesso, non è un intervento invasivo, ricco di suggerimenti, proposte o atto a fornire disposizioni e abilità specifiche per risolvere il problema.
Come ci suggerisce Zavallone il risultato finale del counseling è misurabile attraverso “il grado in cui si riesce a rendere una persona capace di azioni razionali e positive, più capace di condurre una vita serena e socialmente integrata”. Considerato il contesto sanitario e il counseling è facile capirne la sua importanza tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha suggerito il counseling come modalità di approccio sia per la prevenzione che per la cura del paziente definendolo come un processo di dialogo e interazione attraverso cui il consulente aiuta il consultante a prendere delle decisioni e agire di conseguenza, oltre a fornire un solido supporto psicologico.
Esso sembra essere dunque lo strumento migliore per ottimizzare il lavoro degli infermieri e dei medici in quanto la sua funzione non si esaurisce nella sfera delle relazioni umane ma ha una dimensione fortemente realistica: produce un comportamento del paziente più razionale così da accettare le informazioni ansiogene e da adattarsi alle implicazioni che la terapia lo sottopone. Il counseling è rivolto a tutte le persone in difficoltà e nelle strutture sanitarie a tutte quelle persone che necessitano di un cambiamento radicale, in termini di riadattamento psicologico, per l’attuazione di terapie. Non è necessario essere specialisti per praticare il counseling pertanto esso è accessibile a tutto il personale medico, infermieristico e sanitario, il solo punto cruciale è ottenere il risultato, anche se spesso non facile perché non tutti gli utenti/pazienti sono flessibili e disposti a ristrutturare il loro modo di ragionare e il loro stile di vita talvolta.
Pensiamo a come deve essere difficile per uno sportivo accettare alcune verità che implicano un cambio radicale del proprio stile di vita, o per una ragazzo sapere di aver contratto una malattia infettiva per gli preclude molti rapporti con l’esterno, o per una persona sapere di avere un tumore ma oltre alla presa di coscienza di sé, il nodo da svolgere è soprattutto fare si che il paziente accetti le cure e accetti il cambio, talvolta radicale, della propria conduzione della vita. Spesso in ambito ospedaliero il counseling è un’attività svolta dall’infermiere che colma il terribile e dannoso distacco che vi è tra medico e paziente e al contrario sta vicino al paziente fisicamente e psicologicamente fronteggiando ogni aspetto connesso alla malattia. Il counseling infermieristico pone fine all’accusa fondamentalmente rivolta verso gli infermieri, quella di essere una categoria improntata alla teoria piuttosto che alla pratica.
Il Counseling però non è solamente effettuata sul paziente in difficoltà, ma è anche molto utile per quella che è la prevenzione e l’educazione sanitaria, anzi l’O.M.S. ha giudicato il counseling la migliore attività per adempire ad entrambe. L’utilità del counseling non è neanche solo quella di predisporre il paziente a una terapia, aiutandolo a comprendere che la malattia ahimè è parte della nostra esistenza e come tale va affrontata al meglio, quanto è utile durante la terapia stessa a sostenere il paziente.
È importante sottolineare che aiutare il paziente attraverso questo strumento non è arte di demagogia, o mera persuasione o convincere il paziente di una qualche cosa, ma è il modo più libero e autonomo per ottenere la soluzione di un problema attraverso le risorse della persona implicata nel problema stesso, per questo è quanto di più umano ci possa essere.
Sebbene “l’arte del counseling” lascia gran parte all’iniziativa personale, esiste oggi una metodologia role-playing che aiuta il personale infermieristico e medico a prevedere, osservare,analizzare comportamenti umani con l’obiettivo di fornire conoscenze più adatte,svariate e specifiche utili per prestazioni di migliore qualità.
Il counseling sanitario deve anzitutto orientare sostenere e guidare il paziente garante dogli supporto in ogni moment del suo percorso assistenziale, la metodologia con cui si pratica è fatta di colloqui bervi in cui tra paziente e consultante si instaura un legame debole. Per praticare counseling oltre bisogna tenere ben presente tre punti fondamentali:
– Sapere: acquisire conoscenze circa i principi della comunicazione interpersonale e di conduzione di un colloquio di counseling.
– Sapere essere: esprimere condizioni di base come: l’essere autentici, rispettosi, congruenti, creativi, empatici ma soprattutto pazienti e disponibili.
– Sapere fare: imparare tecniche e metodologie come la capacità di praticare l’ascolto attivo, di riflettere emozioni e contenuti, fornire chiarezza progressiva, rimanere concentrato sul paziente ma soprattutto non fornire soluzioni, giudizi, interpretazioni, consigli etc.
Ovviamente per orientare, sostenere e guidare il paziente bisogna: 1) sapere individuare il problema, 2) esplorare il problema e 3) gestire il problema:
1) Avere una chiara definizione del problema in termini concreti e ciò è ottenibile solamente dopo una chiara alleanza terapeutica: fase di chiarificazione in cui il paziente passa dalla confusione alla definizione del problema.
2) È la fase in cui si entra nel vivo dell’esperienza per focalizzare i sentimenti ed entrare nella dimensione delle aspettative e desideri del paziente. In questa fase si ha la presa di coscienza del paziente circa il suo problema e le circostanze che implica. Per esplorare il problema si usa una tecnica ben precisa: si formulano domande chiuse, domande aperte e si attua la riformulazione. Dalle domande chiuse si ottengono maggiori informazioni, ma le risposte hanno il difetto di precludere ulteriore esplorazione del problema. Le domande aperte al contrario offrono l’opportunità di esplorare in ogni direzione il problema e i sentimenti ma si rischia di ottenere una risposta troppo evasiva. Con la tecnica della riformulazione invece il consultante riassume e ribadisce quanto detto e si assicura di conoscere meglio il problema, si avvicina al paziente e sviluppa nel paziente un maggiore senso di responsabilità verso ciò che si è evinto e ciò che si è scelto. Così il paziente è sicuro di essere stato compreso e ascoltato e l’infermiere di aver ascoltato e compreso il paziente senza aver introdotto alcun consiglio estraneo.
3) In questa fase si attivano le risorse del paziente, insieme si cerca la soluzione del problema. In questa fase vi è ciò che si chiama “atto di fede” verso il paziente in quanto il consultante deve credere che in ogni paziente esiste una innata capacità di adattamento e autonomia che lo fa uscire fuori da una situazione paralizzante per farlo entrare in una dimensione razionale in cui il paziente riflette e sviluppa pensieri atti ad un cambiamento. Le risorse che nel paziente vengono attivate sono sia interne, derivanti dall’esperienza intima, che esterne, derivanti da fattori educativi, sociali, economici. A tal punto il paziente dopo aver preso coscienza del problema e delle circostanze cambia e sceglie ciò che lo renderà più felice e lo farà uscire dallo stato di malattia ma soprattutto si sentirà oggetto di cura e amore.